Autore: Claudia Parola
Linee di meta: Roberto Fasti, Gianmarco Pietramala, Claudio Suriano, Alejandro Rios
“Sono cresciuto nel Florentia Rugby, qui a Firenze, e nella mia crescita rugbistica Claudio Suriano è stato fondamentale. L’ho conosciuto dai tempi del minirugby e poi mi ha allenato quando sono diventato più grande, è stata una presenza costante” – Gianmarco Pietramala “Gioco a rugby da quando avevo 5 anni. Il club a cui sono più legato è quello dove ho cominciato, il Firenze Rugby 1931, dove ho conosciuto una delle persone più importanti della mia vita: Alejandro Rios. Oltre ad essere stato il mio allenatore mi ha aiutato ha superare un brutto infortunio quando ero piccolo, lo ringrazierò per sempre e lo ammiro per la persona che è” – Roberto Fasti Due uomini di rugby, ma soprattutto due educatori, sono stati i protagonisti del viaggio che ha portato Gianmarco Pietramala e Roberto Fasti a vestire la maglia dell’Italia under 20. Claudio Suriano è attualmente allenatore della squadra cadetta dell’Unione Rugby Firenze e per anni è stato tecnico delle giovanili del Florentia Rugby, club che a livello seniores e under 18 si è unito al Rugby Firenze 1931 ma che continua in proprio l’attività giovanile: “Anche se adesso viaggia su due binari, essendoci l’Unione, il Florentia nasce e lavora soprattutto nel quartiere 4 di Firenze, in periferia. E il suo obiettivo è sempre stato non solo sportivo ma umano: dare un riferimento a quella che fino a una ventina di anni fa era una periferia difficile, cercando di portare in campo dei ragazzi che altrimenti avrebbero passato delle giornate per strada. Volevamo tenere lontani ragazzi dai rischi della vita ‘di periferia’ e contemporaneamente insegnare loro uno sport bellissimo. È andata benissimo, anche perché dal quartiere 4 il bacino si è allargato e sono arrivati ragazzi anche da altre realtà più lontane come Lastra a Signa, dalla quale vengono i fratelli Cannone, Scandicci e Legnaia. Siamo riusciti sempre a mantenere alta l’attenzione sull’aspetto educativo dello sport, e contemporaneamente sono arrivati anche i primi risultati: dal Florenzia è venuto fuori anche Francesco Bini, che lo scorso anno ha giocato in under 20, oltre ai già citati fratelli Cannone”. Proprio al Florentia è cresciuto Gianmarco Pietramala, mediano di apertura ed estremo dell’Unione Rugby Firenze: “L’ho conosciuto prima ancora di allenarlo, perché frequentava dei campi estivi a 6-7 anni anche se io allenavo ai tempi l’under 16. La prima cosa che mi ha colpito di ‘Jimmy’ è che andava a letto col pallone, letteralmente: gli altri ragazzi magari a quell’età hanno i pupazzetti, gli orsacchiotti. Lui no, dormiva col pallone. Il talento naturale che ha sempre avuto veniva accompagnato da una passione incredibile per il rugby, e questa cosa già mi colpì molto. Quando sono diventato responsabile del minirugby ho cominciato a seguirlo in maniera più concreta, anche perché quando c’è un bambino di quel talento nel club lo conoscono tutti. L’ho allenato poi in under 17 e under 18, anche se poi è diventato subito un elemento fondamentale della prima squadra nonostante fosse giovanissimo. In under 17 lo nominai anche capitano perché era davvero un leader, ma nell’accezione più positiva possibile del termine: era un trascinatore e i compagni gli volevano bene”. Passando “dall’altra parte”, nel Rugby Firenze 1931 è cresciuto il mediano di apertura del Rugby Casale Roberto Fasti, diventato campione d’Italia under 18 con il Benetton e ora a disposizione degli Azzurrini. Ad oggi, il Rugby Firenze 1931 conta circa 400 atleti suddivisi in categorie, dai 5 anni di età fino alla seniores e alla squadra old, oltre alla fusione a livello seniores con l’Unione Rugby Firenze che milita in Serie A. L’incontro che ha cambiato la vita di Fasti è stato quello con Alejandro Rios, ex mediano di apertura e centro di Firenze, poi allenatore e preparatore atletico, laureatosi in Scienze Motorie proprio a Firenze, per un totale di 12 anni passati in Toscana prima di tornare in Argentina, dove vive la sua famiglia: “Ho visto Roberto crescere fin dall’under 6, perché ero responsabile di tutto il settore giovanile. Fin da piccolo aveva qualcosa di speciale, oltre a una voglia incredibile di impegnarsi che lo portava ad essere sempre il primo ad arrivare a ogni allenamento. Vederlo in Nazionale mi rende davvero orgoglioso, così come sono felice di aver allenato anche altri ragazzi che oggi stanno facendo strada, come Olmo D’Alessandro e Lapo Frangini”. Il momento che però unisce davvero Fasti e Rios è un infortunio, il primo della giovane carriera di Roberto: “A 8 anni si ruppe l’omero – racconta Rios – e a quel punto oltre a seguirlo come tecnico lo seguii anche nella riabilitazione. Fu una cosa importante per lui, ma anche per me, perché capii come a Firenze potevamo lavorare in un certo punto anche nella prevenzione degli infortuni. Facevamo tantissimi esercizi sulla tecnica individuale: placcaggio, calcio, passaggio, sempre con il pallone ovviamente perché i ragazzi e i bambini devono divertirsi, ma era tutto importantissimo per farli crescere nel modo giusto, anche dal punto di vista della salute. Più impari a fare bene un movimento, meno rischi di farti male. Proprio per questo con il Rugby Firenze facevamo anche degli esercizi in piscina, per migliorare l’equilibrio e la propriocezione: era tutto parte di un progetto che ha sempre messo al primo posto la passione per il rugby e la volontà di trasmettere dei valori umani, facendo capire ai ragazzi che questo è uno sport duro ma mai cattivo. Poi chiaramente, anche per affinità di ruolo, con Roberto si è creato un rapporto speciale: gli ho insegnato fin da bambino tutti i tipi di calci e il modo in cui un numero 10 deve passare il pallone”.
dalla base | 03/03/2025
25 anni di Sei Nazioni – Incontri nella Storia: Italia v Francia
Sergio Parisse, a lungo parigino, inventore della “parissina”, un improvviso e geniale passaggio dietro la schiena, tolonese al meriggio di carriera e all’inizio di quella tecnica, sta per ricevere l’applauso dell’Olimpico. Lo merita: è stato il capitano, ha guidato la squadra con l’azione e con le parole anche in mezzo a difficili flutti, non ha avuto timore di un gesto clamoroso: un suo drop avrebbe rovesciato il punteggio e trasmesso scosse telluriche allo Stade de France. Peccato non siano più di moda o non ci sia più tempo per le partite celebrative: XV di Parisse contro Resto d’Europa o del mondo avrebbe occupato un pomeriggio indimenticabile. Sergio è il simbolo di un legame da “strana coppia” tra il rugby italiano e il rugby francese. Loro, i Galli, hanno sempre guardato gli italiani con un certo senso di superiorità, a volte di sufficienza: per lunghi anni la loro squadra di vertice giocava soltanto con le vecchie Union, nel 5 Nazioni, o con le grandi dell’altro emisfero in pomeriggi strenui a Colombes o al Parco dei Prinicipi. Per “les italiens” (senza usare un nomignolo più dispregiativo…) erano sufficienti i rincalzi, etichettati con una piccola marea di sigle. Eppure c’è sempre stata vicinanza, c’è sempre stato flusso migratorio, sin dai tempi di Maci Battaglini che giocò a Vienne e a Tolone e di qualche “esule” che andò a cercar fortuna nella rugby league, quello che i francesi chiamano jeu a XIII. Poi vennero Franco Zani, una vita all’Agen, e Sergio Lanfranchi che scelse Grenoble, la città che nel ’63 ospitò la Mala Pasqua, un momento di svolta. Contro la migliore Francia l’Italia di un esordiente Marco Bollesan tenne duro sino al 79’ e qualcuno sostiene che il Tmo oggi annullerebbe la meta di Darrouy. Che i francesi amino arruolare il meglio nella loro Legione Straniera è testimoniato dai dati forniti dagli archivi: nel 2011, al Flaminio, seconda vittoria dopo quella di Grenoble ’97, in campo otto azzurri di Franca: cinque del Racing (Masi, Mirco Bergamasco, Dellapè. Festuccia, Lo Cicero), uno del Clermont (Canale), uno del Brive (Orquera) e uno dello Stade Francais, Sergio naturalmente. Ogni angolo, ogni dipartimento dalle Alpi al Paese Basco (Pez al Bayonne, Masi al Biarritz), da Parigi (Mauro Bergamasco allo Stade Francais al tempo dei grandi show) ai Pirenei (Perugini al Tolosa e oggi Capuozzo), dal centro (Troncon al Clermont) all’Occitania (Gori al Castres), da Lione (Page Relo e Ioane) alla regione dove si parla il catalano (Allan e Ceccarelli al Perpignan) sino alla costa del Mediterraneo (Paolo Garbisi al Tolone, dopo la parentesi a Montpellier), ha visto italiani di ieri e di oggi meritare lo stipendio e guadagnar stima e simpatia.
News | 19/02/2025
Linee di meta: Alessandro Izekor e Alberto Chiesa
“Alberto Chiesa è stato prima mio allenatore nelle giovanili del Calvisano per poi diventare mio compagno in prima squadra. Ai tempi dell’under 18 è stato la mia guida, mi ha fatto capire che avevo la possibilità di arrivare nel grande rugby e mi ha dato tutti gli strumenti per farlo. Oltre ad essere stato un grande allenatore per me, è stato poi anche un grande compagno di squadra: lo ascoltavo sempre, seguivo i suoi consigli, le sue indicazioni. Siamo sempre rimasti in contatto, è grazie a lui se sono riuscito ad arrivare fino a qui” – Alessandro Izekor Alberto Chiesa, oggi direttore tecnico dei Cavalieri Union Prato e in passato giocatore e allenatore dell’Under 18 a Calvisano, ha visto passare davanti a sé tanti talenti che oggi fanno parte dell’alto livello e che sono partiti proprio dalla “base” di Calvisano. Con Izekor, come già spiegato dallo stesso giocatore, si è creato un grandissimo legame, ma essendo stato anche al fianco di Massimo Brunello nel 2019 come assistente dei trequarti e “guida”, essendo il capitano e il giocatore più anziano, Chiesa ha lavorato anche con Jacopo Trulla, Pierre Bruno, Federico Mori, Matteo Minozzi, Danilo Fischetti, tutti parte integrante della rosa di quel Calvisano. “Il percorso di Alessandro Izekor è stato particolare, nel senso che quando è arrivato a Calvisano in realtà non era ancora del tutto formato fisicamente. Se lo vedi adesso dici ‘non è possibile’ (ride, ndr) ma ha sempre avuto del potenziale a livello fisico, sapevamo che poteva dare tantissimo, ma al di là di questo è stato bravissimo a lavorare tanto sulla tecnica, perché senza quella non puoi arrivare ai livelli a cui è arrivato lui. Ha avuto anche una grande crescita a livello di testa, è maturato davvero bene. Per Alessandro mi sento un po’ una ‘chioccia’, ho sempre cercato di dargli consigli e supporto, ci siamo sempre confrontati e il rapporto con lui è bellissimo. Lui mi vede tanto più grande di lui, ma quando giocavamo insieme per me era un compagno di squadra: è una persona davvero piacevole e sono felice di averlo nella mia vita” racconta Chiesa. Il lavoro di Chiesa ai tempi del Calvisano è stato particolare, poiché seguiva i ragazzi dell’Under 18 e contemporaneamente giocava in prima squadra. Questo ruolo di allenatore-giocatore, però, si è rivelato molto utile per la crescita dei ragazzi: “Credo sia stato molto formativo per i ragazzi, perché ci vedono comunque come degli ‘idoli’ in qualche modo, poiché in settimana lavoravamo insieme e poi la domenica ci vedevano giocare in Eccellenza, e questo è un grosso vantaggio perché è anche più facile farsi seguire ed essere di supporto nella formazione in un momento importantissimo nella crescita degli atleti. Ricordo che quando ero giovane e arrivava un giocatore della prima squadra io lo vedevo come un punto di riferimento, e così cercavo di fare con i ragazzi: alla fine tutto quello che ho imparato e che ora provo a trasmettere l’ho preso ‘rubando’ con gli occhi ai giocatori più esperti. Chiaro, non tutti ci riescono ed è importante, secondo me, un po’ di capacità innata per farlo e poi studiare tantissimo. Il ruolo di allenatore-giocatore quindi può essere molto utile per i ragazzi. Da giocatore puoi capire più facilmente le problematiche tecniche ma anche psicologiche di un ragazzo. Viceversa, adesso che alleno a Prato da 5 anni ho sicuramente più esperienza come allenatore, ma non giocando più – pur avendo mantenuto ‘l’occhio’ da rugbista – mi accorgo che certe cose quando sei un giocatore riesci a interpretarle meglio e di conseguenza anche a trasferirle meglio”. Negli ultimi due anni della sua carriera da giocatore Alberto Chiesa ha lavorato anche al fianco di Massimo Brunello, attuale capo allenatore delle Zebre, nella prima squadra di Calvisano, contribuendo quindi alla crescita di atleti che hanno scritto pagine importanti del rugby italiano: “Ai tempi ero il capitano e il più anziano, quindi capitava di avere da Brunello l’opportunità e il piacere di lavorare con i trequarti. Pensiamo a Trulla, estremo come me ma anche ala, quindi magari giocavamo insieme la domenica. Poi c’erano Mori, Bruno, Minozzi, Danilo Fischetti tra gli avanti. Tutti ragazzi già promettenti ai tempi, è stato davvero bello poterli aiutare soprattutto dal punto di vista umano: vedevo grande rispetto da parte loro e io avevo tantissima voglia di trasmettere la mia passione e le mie competenze. Ancora oggi ho un bel rapporto con tutti loro. Tutta questa esperienza l’ho poi portata con me anche a Prato”. Oggi, infatti, Alberto Chiesa è tra i protagonisti di un progetto in grande crescita come quello dei Cavalieri Union Prato, del quale è direttore tecnico: “Finita l’era del professionismo, a Prato è stata presa la decisione di ripartire dai giovani. Quando sono arrivato nel 2020 avevo già trovato un settore giovanile di grandissima qualità: attualmente fino all’Under 14 ci sono due società – il Gispi Rugby e il Sesto Fiorentino Rugby – che poi convogliano nei Cavalieri Prato dall’Under 16 in poi, passando per l’Under 18 fino alla prima squadra. Ad oggi abbiamo due squadre Under 16, due Under 18 (una in Elite e una in interregionale per entrambe le formazioni) e due Seniores, una in Serie A girone 1 e una in Serie B. Al momento abbiamo 72 ragazzi in Under 16, 64 in Under 18 e 80 giocatori seniores tra le due formazioni”. “Ogni anno ci poniamo un obiettivo importante: integrare le rose delle due squadre seniores con almeno 12 giocatori del nostro settore giovanile. Questo significa lavorare per formare i ragazzi qualitativamente e umanamente: sono seguiti da preparatori, nutrizionisti, psicologi, tutte figure che ritengo fondamentali. Questo poi ci consente di far succedere una cosa molto bella: che tutti i ragazzi, ovunque poi vadano, alla fine tornano, da giocatori, da allenatori, da dirigenti, ma il legame con Prato non si spezza mai. Per fare questo bisogna formare soprattutto le persone e rimanere tutti uniti” conclude Chiesa.
dalla base | 14/02/2025
‘L’è riva’, la canzone del Monti Rovigo che si tramanda di generazione in generazione
Al centro, stretti in un abbraccio, i bambini dell’under 6 della Monti Rovigo. Tutt’intorno, i ragazzi e le ragazze dell’under 12 che insegnano ai più piccoli uno dei canti della tradizione rossoblù: “L’è rivà”. Questo video, girato nello spogliatoio della squadra rodigina poco prima di un raggruppamento casalingo, ha fatto il giro del web. Testimonia uno dei momenti più belli dell’ambiente rugbistico ovvero il passaggio, tra diverse generazioni, delle tradizioni del club. “E’ una canzone che appartiene agli albori, la Monti è nata nel 1972 – spiega il presidente della Monti Rovigo Damiano Libralon – Fu introdotta dalla prima squadra, e veniva cantata anche dai ragazzi delle giovanili che ancora oggi la intonano. Originariamente, era la canzone della vittoria. Oggi, nelle giovanili, è più un modo per celebrare l'impegno e lo spirito di gruppo e fratellanza”. Questo rito accompagna da molti anni l’under 12, 14 e 16 e viene insegnato anche alle categorie dei più piccolini. “Si insegna per tradizione orale. La canzone nel tempo è stata trasmessa da allenatori che hanno dedicato tanti anni alla Monti, come Roberto Rizzati – spiega Libralon – allenatore che per 40 anni ha seguito ragazzi e ragazze. Ora, è un naturale passaggio tra le diverse squadre”. Attualmente la Monti Rovigo, dalle prime mete all’under 16, conta 180 tesserati un settore giovanile che è sempre stato un punto di riferimento a livello nazionale. Nel testo della canzone non può mancare un riferimento al Petrarca, storico rivale in campo di Rovigo. “Adesso adattiamo il testo all’avversario che abbiamo di fronte – conclude Libralon – ma è inutile nascondere che il derby è il derby, a qualsiasi età!”. Il testo della canzone: Capitano/i: L'E' RIVAAAA' Coro: BOOM! Capitano/i: L'E' RIVAAA' Coro: BOOM! Tutti insieme: L'è rivà el forte squadron Da Rovigo è lo squadron che tremare il mondo fa per i nostri hip hip urrà per i nostri hip hip urrà E da Rovigo siam e la vittoria avrem per la gloria dei Bersaglier La mischia l'è potente, i trequarti son veloci, l'arier placcherà hip hip urrà Caro Petrarca cosa vieni a far? questa è la nostra abilità L'è Rivààààà! Boom!
dalla base | 12/02/2025
FIR insieme a Ferroli, partner evento in occasione del Sei Nazioni 2025
FIR annuncia la collaborazione con Ferroli, leader nel settore del riscaldamento, climatizzazione e comfort domestico, Partner Evento ufficiale per le partite casalinghe della Nazionale Italiana maschile di rugby durante il Torneo Sei Nazioni 2025. Un legame tra comfort e sport Ferroli, da sempre impegnata nell’offrire soluzioni innovative per il benessere e la sostenibilità, condivide con il rugby valori fondamentali come determinazione, resilienza e gioco di squadra. Questa partnership rappresenta un’opportunità unica per unire il calore del comfort domestico alla passione di uno sport che unisce milioni di persone in tutto il mondo. “Siamo entusiasti di supportare la Squadra Nazionale Italiana di rugby in una competizione di livello mondiale come il Torneo Sei Nazioni. Questo accordo sottolinea il nostro impegno nel sostenere eccellenza, passione e innovazione, valori che sono al centro della nostra mission aziendale,” ha dichiarato Luca Magnotta - Group CCO & CMO. “Essere Partner Evento è un onore e una grande opportunità per avvicinare il nostro brand a un pubblico che condivide i nostri stessi ideali.”
News | 07/02/2025
Linee di meta: Giacomo Milano, Malik Faissal, Andrea Cinti, Marco Quagliotti
“Sono cresciuto nella Nuova Rugby Roma, dove ho incontrato Andrea Cinti, una persona fondamentale per la mia cresciuta rugbistica e umana. Mi ha allenato dai 13 ai 17 anni, ma soprattutto mi ha aiutato durante il periodo del Covid, quando riuscì a far risbocciare la passione per il rugby che non riuscivo più a far venire fuori” – Giacomo Milano Marco Quagliotti, detto “Quaglio”, è stato molto più di un allenatore: è stato un vero esempio. Mi ha aiutato a crescere come rugbista e mi ha trasmesso l'importanza del rispetto verso gli avversari. Sempre al mio fianco, ha supportato ogni mia decisione, accompagnandomi dal primo allenamento con la selezione regionale fino al primo raduno con la Nazionale. Il suo amore per il rugby è stato una grande fonte di ispirazione, spingendomi costantemente a dare il massimo” – Malik Faissal Far crescere i giovani non significa solo insegnare loro a giocare a rugby: vuol dire guidarli, aiutarli, mostrare loro la strada e la direzione giusta per farli diventare uomini e donne. E quello che è accaduto a Giacomo Milano e Malik Faissal, due grandi talenti aiutati da due grandi allenatori a superare ogni difficoltà. È successo alla Nuova Rugby Roma, realtà nata nel 2005 e dedicata (per ora) esclusivamente al settore giovanile, con Andrea Cinti, che ha guidato Giacomo Milano – terza linea del Noceto – nel momento più delicato del suo percorso di crescita: “Ho dei ricordi bellissimi. Ha cominciato con noi da bambino, già si distingueva soprattutto a livello fisico, era impossibile non notarlo (ride, ndr). Lo abbiamo visto e seguito fin da piccolo, poi l’ho allenato in under 14, under 16 e poi 17, quando furono inserite le categorie dispari” racconta Cinti, 60 anni, che ha giocato da sempre a Roma, allena da 20 anni e adesso si occupa della formazione dei ragazzi che diventeranno poi gli educatori e allenatori della Nuova Rugby Roma. Come raccontato da Giacomo Milano, Cinti è stato fondamentale durante il periodo del Covid, quando ha rischiato di lasciare: “Credo che il senso e l’obiettivo di tutto il nostro progetto sia proprio questo. Al di là del fatto che sia arrivato ad altissimi livelli, e ne sono ovviamente orgoglioso, dare questa motivazione ai ragazzi e aiutare chi in un determinato momento si sente in difficoltà è ciò che mi rende più felice, e il fatto che poi tutto questo abbia contribuito a far arrivare Giacomo così in alto è ovviamente un motivo d’orgoglio. Alla fine noi dobbiamo fare questo: contribuire alla crescita umana dei ragazzi, perché poi più saliranno di livello più troveranno allenatori bravissimi come quelli con cui Milano lavora adesso, ma è importante che il rugby di base formi prima di tutto la persona, in modo che poi il giocatore possa svilupparsi di conseguenza”. “Sono da sempre alla Nuova Rugby Roma, un progetto nato nel 2005 anche grazie al presidente – e mio caro amico - Roberto Barilari, la vera anima del club” spiega Cinti: “La filosofia nel nostro club è sempre quella di ‘lasciare spazio’ ai ragazzi, insegnando loro i fondamentali dell’educazione e del rispetto ma lasciandoli liberi di divertirsi. Cerchiamo di non focalizzarci troppo sui risultati, mettendo al centro l’appartenenza, il gruppo, l’unità, tutti valori che rischiano di perdersi. Non bisogna mai perdere di vista questo principale obiettivo, soprattutto lavorando con persone che vivono comunque un’età particolare come quella della crescita e dell’adolescenza. Dopo tanti anni di lavoro con i giovani stiamo pensando di costruire anche una squadra seniores, che nasca proprio dai ragazzi che in questi anni sono cresciuti nella Nuova Rugby Roma”. Lo stesso ha fatto Marco Quagliotti, allenatore dell’under 14 del Rugby Parma e responsabile del minirugby, che ha allenato l’ala degli Azzurrini e del Rugby Parma 1931 Malik Faissal: “Malik ha iniziato da piccolo, aveva 6 anni, e l’ho incontrato più avanti quando ha cominciato in under 12, proprio quando ho iniziato ad allenare. Alla fine siamo cresciuti insieme: io da allenatore, lui da giocatore. Malik era ed è un ragazzo fantastico anche fuori dal campo, non si arrabbia mai e – anzi – abbiamo dovuto spingerlo a tirare fuori un po’ di sana cattiveria agonistica. All’inizio tendeva a buttarsi giù, se faceva un errore andava nel pallone: abbiamo lavorato tanto su questo proprio per farlo crescere, prima di tutto a livello umano. Come caratteristiche era già molto simile ad ora, aveva delle doti atletiche e fisiche notevoli. Quello che gli mancava era un po’ la tenuta mentale, se sbagliava qualcosa non riusciva a reagire, adesso invece è diventato molto più forte da questo punto di vista”. Quello di Faissal è “solo” un esempio di quello che Quagliotti e Cinti hanno sempre cercato di fare: “Credo sia fondamentale non limitare i ragazzi. Bisogna evitare di infondere loro la paura di sbagliare, magari riempiendoli di troppe nozioni tattiche o schemi prefissati quando dovrebbero essere liberi di provare a fare una giocata. Se un ragazzo non viene lasciato libero di provare qualcosa quando è giovane, quando crescerà non potrà farla. Dobbiamo crescere prima di tutto dei ragazzi, poi dei giocatori: abbiamo sempre cercato di far capire loro lo spirito del nostro sport, soprattutto dal punto di vista del rispetto degli avversari, delle regole, degli allenatori. Dal mio punto di vista è la base da cui parte tutto il resto: prima il rispetto, poi la tecnica”. Il percorso di Faissal si inserisce nella particolare storia recente del Rugby Parma, come racconta Quagliotti: “Dopo il fallimento del 2011 la società ha deciso di ripartire dal settore giovanile, e da lì sono stati anni crescita per i giovani, proprio quelli in cui si sono avvicinati al rugby ragazzi come Malik Faissal e Pietro Melegari, anche lui dell’under 20 italiana. Dopo tanto lavoro siamo tornati ad ottenere risultati importanti: la seniores ha ricominciato dalla Serie C2 con una squadra formata da ragazzi provenienti dal settore giovanile, e di promozione in promozione è arrivata in Serie A2 oltre ad avere una squadra cadetta in Serie C, più due under 18, due under 14 e tutte le categorie del minirugby. Per quanto riguarda i giovani, al momento abbiamo circa 230 tesserati solo per quanto riguarda il settore giovanile fino all’under 18”.
dalla base | 07/02/2025
25 anni di Sei Nazioni – Incontri nella Storia: Italia v Galles
Dieci anni fa il Galles camminò sulle rovine dell’Italia: quel 20-61 coincise con un pomeriggio di azzurro-tenebra, capace di vibrare un colpo di cancellino sulle due vittorie al Flaminio quando, prima puntata, i rossi non si capacitarono di aver ceduto agli italiani e, seconda puntata, alzarono mugugni contro l’arbitro, l’inglese Chris White, che si affrettò a fischiare la fine dopo la punizione calciata in touche da James Hook: i Dragoni sognavano un drive per violare la linea e metter le mani sul match. Quella fine delle ostilità servì a rinfocolare i vecchi astii tra chi abita al di qua e al di là del Severn. Usando la memoria e il supporto delle cifre, i flash back dicono che i gallesi hanno avuto la meglio negli ultimi otto faccia a faccia, due al Flaminio e sei all’Olimpico. L’ultima volta due anni fa, con un margine meno pesante, in fondo a una partita interpretata con modalità tattiche semplici e conservative, il modo per scrollarsi di dosso il raid improvviso, dodici mesi prima, offerto con il frullo di un’allodola, da Ange Capuozzo: prima vittoria italiana a Cardiff nello stadio eretto al centro della città. Le mani decisive furono quelle di Edoardo Padovani che recapitò il dono ricevuto da Angelino. Quella fuga degna di un Mercurio, l’imprevedibile dio dalle ali ai piedi, segna la prima crepa, che si è progressivamente allargata, nel gran edificio, vecchio 145 anni, del rugby di Cymru, il Principato che ha fatto del gioco simbolo e orgoglio. E i tempi sono diventati sempre più grami, sempre più impervi e non è servito il ritorno sul ponte di comando di Warren Gatland, condottiero del Principato in giorni felici e dei Lions. Un anno fa, ancora a Cardiff, l’a-solo elegante di Lorenzo Pani – il voto l’ha eletta, a ragione, la meta più bella del Torneo, così come il suffragio ha spedito Tommaso Menoncello all’Oscar del miglior giocatore – in una partita dal punteggio falso: quel 21-24 non racconta la vera trama di un confronto con le briglie sempre saldamente in mano agli azzurri. Per i gallesi, l’anno orribile, scandito da una sconfitta dopo l’altra, da un senso di impotenza, di vocazioni sempre più scarse, di decadenza, di scivolamento progressivo nel ranking proseguito in un autunno avaro e spietato. Per l’Italia di Gonzalo Quesada, progressi, iniezioni di fiducia, qualche balbettio novembrino. Ora, ancora un testa a testa. I gallesi sognano una nona sinfonia romana; gli azzurri voglio spezzare una serie troppo lunga di rese interne contro i rossi. La catena dell’infelicità che pareva eterna – 36 partite – saltò proprio contro chi porta addosso le tre piume e parla una dolce e antica lingua.
News | 06/02/2025
Silvano Babetto, segni particolari: una vita dedicata alla palla ovale.
“Babe”, questo il soprannome con cui è conosciuto sul territorio, ha recentemente festeggiato il 41esimo anno di attività come allenatore del minirugby con una cena a sorpresa fatta dai suoi ragazzi della sua prima squadra, classe 70-71. Un esempio di dedizione e passione per questo sport e una storia che merita di essere raccontata. Inizia sulla panchina del Valsugana, ad appena 22 anni dopo aver lasciato il rugby giocato, poi dopo otto anni il passaggio al Petrarca, dove si divide ancora tra l’under 10 e l’under 12. “Ho iniziato a lavorare molto presto come cuoco alla scuola materna e questo mi ha portato sin da giovanissimo a stare a contatto con i più piccoli. Allenare i bambini e le bambine per me è stato naturale, un hobby che si è trasformato con il passare del tempo in una vera a propria passione. Il segreto è divertirsi, in campo rido ancora tantissimo e questo mi spinge a continuare”. Babetto ha cresciuto e allenato intere generazioni di rugbisti, alcuni dei quali hanno calcato i più importanti palcoscenici internazionali. “Ora alleno i figli di alcuni di alcuni di questi ragazzi anche se sembra ieri quando allenavo i padri – spiega Babe – è una cosa che mi inorgoglisce ma al contempo mi ricorda che il tempo sta passando velocemente”. Gli anni passano ma non cambiano i valori che spingono Silvano Babetto “Il mio obiettivo primario, oltre naturalmente ad insegnare il gioco e il rispetto per l’avversario, è quello di creare il gruppo, un insieme di amici che possano crescere nello sport ma anche una volta che avranno finito di giocare”. E proprio il campo da rugby ha permesso di cementare rapporti importanti “Sono orgoglioso dell’amicizia che mi lega ad Andrea Rinaldo, per lungo tempo un mio “accompagnatore”. Anche con Graziella Calore, storica segretaria del Petrarca ci vediamo e sentiamo spesso. Sono legatissimo alla famiglia Ghiraldini con cui ogni Natale passiamo dei piacevolissimi momenti insieme”. Babetto ha trasmesso la propria passione ai figli “Francesco allena l’under 10 mentre Carlo guida l’under 18 del Petrarca. Per mio nipote Pietro, che ha due anni e mezzo, è ancora presto per il rugby in campo ma ha già iniziato con le attività propedeutiche e il gioco legato alla palla ovale”. E la moglie? “Abbiamo raggiunto un equilibrio nel corso degli anni – sorride Silvano Babetto – sa che farei fatica a rinunciare al rugby e la ringrazio per avermi sempre supportato”. Sono tanti gli aneddoti e le storie da raccontare in quarantun anni di carriera “La mente mi riporta spesso al passato, ad episodi di campo ma anche a quelli avvenuti fuori. Le trasferte in bus con la squadra, le amicizie coltivate nel corso del tempo, il rapporto e il confronto con i genitori”. Di smettere Silvano non ci pensa minimamente ma ha le idee chiare sul futuro e l’insegnamento del rugby “Ovviamente spazio ai giovani, sono tanti i ragazzi che hanno iniziato il percorso per diventare allenatore e che scendono in campo settimanalmente, questo mi rende felice. Io sono a disposizione a dare una mano e a fornire i consigli necessari”. Sempre con la palla ovale nel cuore.
dalla base | 04/02/2025
Linee di meta: Nelson Casartelli, Edoardo Todaro e Paolo Ragusi
La linea di meta è dritta, quella della vita no: come, grazie a qualcuno, la traiettoria personale di atlete e atleti è cambiata. “Ho cominciato a giocare a rugby al Cus Milano, per poi trasferirmi poco dopo all’AS Rugby Milano dove ho incontrato Paolo Ragusi, la persona più importante nel mio percorso di formazione rugbistica. Con lui sono stato 6 anni: mi ha allenato prima al Rugby Milano fin dall’under 8, l’ho ritrovato di nuovo quando sono tornato al Cus Milano dove sono stato fino all’Under 14. È stato fondamentale per me” – Edoardo Todaro “Sono cresciuto rugbisticamente tra Cus Milano e AS Rugby Milano, le prime due squadre in cui ho giocato. In queste due squadre ho trovato un punto di riferimento importantissimo che è stato Paolo Ragusi, il nostro allenatore” – Nelson Casartelli Se due dei ragazzi più promettenti dell’Italia under 20 versione 2025 fanno lo stesso nome, non può essere un caso, e Paolo Ragusi effettivamente al caso non lascia nulla. Ragusi è stato uno storico mediano di apertura dell’AS Rugby Milano (“Ho iniziato in under 11 e ho smesso a 39 anni, ho dedicato tutta la mia carriera al club. Ho avuto la fortuna di giocare anche con Luca Morisi e con mio nipote Simone Ragusi”), una società che ancora oggi vanta 3 squadre seniores, di cui una in Serie A, e tutte le giovanili dai corsi di motricità rugby tots (2-3) anni fino all’under 18. Ragusi ha cominciato proprio All’ASR la sua carriera da allenatore, prima di spostarsi al Cus Milano, dove adesso è capo allenatore dell’Under 18 e allenatore dei trequarti delle due squadre seniores. Al momento, spiega Ragusi: “Il Cus Milano ha tutta filiera delle giovanili, dall’under 6 all’under 18, di cui sono allenatore. L’under 16 gioca nel campionato elite nord-ovest, mentre l’under 18 disputa il campionato elite nord. Ovviamente, quando si parla di Cus Milano non si può non citare il nostro fiore all’occhiello, la squadra femminile, che credo vanti uno dei numeri più alti di tesserati in Italia: abbiamo due squadre seniores, di cui una sempre presente in Serie A Elite, una squadra under 18 e una under 16”. Proprio tra ultimi anni di lavoro all’ASR e i primi al Cus Milano è arrivato l’incontro con Edoardo Todaro e Nelson Casartelli, rispettivamente centro e terza linea dell’Italia under 20: “Con Edoardo Todaro siamo stati insieme dall’under 8 fino all’under 14, quando ha deciso di partire per l’Inghilterra. È stata una scoperta molto piacevole, è figlio di un ex giocatore dell’Amatori Catania, conosceva già il nostro sport, già ai tempi aveva un atletismo sopra la media. Stessa cosa per Nelson Casartelli, ha avuto subito un impatto notevole. Con loro abbiamo vissuto tantissime avventure perché ho sempre pensato che vivere più esperienze possibili sia il modo migliore per crescere. Abbiamo giocato tantissimi tornei, nazionali e internazionali: siamo andati a Rovigo, Padova, Treviso dove abbiamo vinto il Trofeo Topolino, e poi sia con Edoardo sia con Nelson siamo andati a giocare delle amichevoli estive in Irlanda. Due giorni a Dublino, due a Connacht, due Limerick, affrontando le squadre dei campus delle franchigie irlandesi. Pensate che l’arbitro di una di queste partite era l’irlandese John Lacey, che aveva diretto la finale per il 3° posto della Rugby World Cup 2015”. Oggi sono due Azzurrini, Ragusi però ama ricordare i Casartelli e Todaro bambini: “Due forze della natura. Nelson aveva già questa fisicità prorompente che poi ha sviluppato fino ad oggi, la cosa sulla quale abbiamo dovuto lavorare – sia con lui che con Edoardo – è stata fare in modo che quella loro ‘superiorità’ non diventasse limitante per la loro crescita. Chiaramente due giocatori così potevano risolvere le partite da soli, ed effettivamente lo facevano: abbiamo lavorato tanto sul farli partecipare di più all’azione con i compagni, in modo che diventassero dei veri ‘uomini-squadra’. E in questo modo sono arrivati così in alto. Ad esempio, lavoravamo molto sulle abilità individuali, sul passaggio, oppure li facevamo partecipare solo alla seconda parte dell’azione, in modo che si integrassero meglio al gioco di squadra. Ogni volta che parlo di loro sono felice, sono orgoglioso di averli allenati e che siano arrivati fino al Sei Nazioni under 20. Ovviamente li guarderò sempre in televisione, e sono sicuro che sia all’ASR sia al Cus saranno tutti attaccati allo schermo per seguirli”. Il riferimento ai tornei, alle trasferte e alle avventure all’estero non è un caso. Anzi, come spiega Ragusi, l’esperienza è il motore principale della crescita dei ragazzi, ed è un lavoro che ha sempre amato fare sia all’ASR Milano che al Cus Milano: “Credo far uscire i ragazzi dalla propria zona di comfort e far vivere loro delle esperienze diverse sia la cosa più importante. Far vivere loro la trasferta, dormire fuori insieme, stare lontani dai genitori: tutte cose che formano prima di tutto la persona, che deve essere sempre il nostro obiettivo principale. A livello di rugby di base poi credo che sia importantissimo lavorare sulla tecnica individuale, ovviamente considerando l’età dei bambini e dei ragazzi e inserendo quindi dei giochi, delle attività particolari che permettano loro di imparare divertendosi e sconfiggere la paura del contatto o di andare a terra”.
dalla base | 30/01/2025
25 anni di Sei Nazioni – Incontri nella Storia: Scozia v Italia
I quattro minuti e mezzo che sconvolsero il rugby vennero a Murrayfield il 24 febbraio 2007: 0-21 quando il cronometro segnava il 6’ e in tribuna, dopo le mete di Mauro Bergamasco padovano, di Andrea Scanavacca rodigino e di Kaine Robertson neozelandese che aveva imparato il rugby in Italia, tutti erano finiti in quella che è banale definire una dimensione di sogno: era un’ubriacatura, una passeggiata nel delirio più dolce, subito sostituito da una legittima apprensione. Era finita una brevissima partita e ne cominciava un’altra, lunga 74’, di assalti dei blu, di punizioni che Paterson avrebbe potuto calciare in mezzo ai pali e che finirono per essere all’origine di tentativi di sbarchi oltre la linea. Solo Di Rollo e Paterson varcarono quel confine ma il distacco era sempre ampio e la sabbia scorreva nella clessidra. Quando a tempo scaduto, con il risultato in mano, Alessandro Troncon detto Tronky, segnò la quarta meta e Scanavacca la trasformò con il gesto dolce dell’altra sua personalità, quella del giocatore di golf, sul prato comparvero gentiluomini veneziani in mantello e tricorno che tributarono il più elegante degli omaggi alla prima vittoria italiana fuori dalle mura. Venne naturale accostarli a certe figure, due secoli e mezzo prima dipinte da Pietro Longhi. Tra i cavalieri che fecero l’impresa, un tardivo e meritato premio da uomo del match da assegnare a Santiago Dellapè: se gli scozzesi non riuscirono a irrompere, a diventare padroni della touche, il merito deve esser riconosciuto al lock arrivato nel mondo – sarà un caso? – nello stesso luogo, La Plata, che ha visto venire alla luce Sergio Parisse, un altro protagonista della gloriosa giornata che la stampa scozzese avrebbe marchiato a fuoco con un titolo memorabile e spietato: Triple Clowns. Il giorno dopo, all’aeroporto, quella prima pagina correva di mano in mano dando la scossa a chi aveva dormito poco o non aveva dormito affatto. Meglio di un bricco di caffè forte. Gli scozzesi si sarebbero presi una bruciante rivincita sette mesi dopo, a St Etienne quando il piede di Paterson sarebbe stato spietato: sei calci a segno, in fondo a un match che avrebbe prodotto una sola meta, di Troncon, prima del fischiare del pallone che Bortolussi spedì a un palmo dal palo, la distanza che separò gli azzurri dai quarti di finale di Coppa del Mondo. A Murrayfield Pierre Berbizier, detto le petit general, aveva avuto la sua Austerlitz e gli aveva dato seguito, due settimane dopo, battendo il Galles. L’addio fu una sconfitta stretta, non una Waterloo.
News | 28/01/2025
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