14 aprile 2020 – Se l’attuale fosse un periodo di “normalità”, sarei a condividerlo con i Detenuti e utilizzando un pallone da rugby.
Tuttavia, in questo frangente di vita sospesa, sono Loro ad allenarmi idealmente, trasmettendo il senso delle privazioni… grandi o piccole che siano.
Allenare non significa comandare, vincere, pensare con il principio “io sono il capo, decido e gli altri faranno”.
Allenare significa guidare, sostenere, creare emozioni, lavorare per la crescita degli individui di ogni età.
Allenare è anche saltare oltre le frustrazioni del momento, anteponendo il forte “NOI” al piccolo “IO”.
Tento d’insegnare questo, ma poi messo alla prova dalla solitudine di questo periodo, mi capita di sbagliare.
Fraintendo una promessa, confondo le mie stesse parole, permettendo all’egoismo di avere la meglio.
Così, arriva il placcaggio, duro, inesorabile, di quelli che “ti spengono” e lasciano stesi a terra.
Il gesto lo compiono le parole di Chi stimo profondamente e che rappresenta quel senso di Libertà assoluto, puro… cercato da sempre.
Resto vuoto e, da terra, la prospettiva torna diversa.
Per la prima volta, sono costretto a vacillare, ad “indietreggiare per prendere la rincorsa”, nel tentativo di riguadagnare una fiducia che ho sgualcito: in maniera nuova, diversa e necessaria.
Per tale circostanza non esiste metafora: è questo l’allenamento che insegna il vero rispetto dei propositi e delle intese.
E per sempre.
di Giuseppe De Rosa (Allenatore rugby, Case Circondariali Pesaro e Rimini)
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