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Linee di Meta: Francesca e Pierluigi Sgorbini

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Pesaro, Bologna, Colorno e Clermont: sono le quattro tappe del viaggio di Francesca Sgorbini, partita dalla “spiaggia dei rugbisti” di Fano, attratta da dei bambini che giocavano con una palla ovale, e arrivata fino alla Nazionale Italiana e a conquistare un campionato italiano e uno francese. Alle Formiche Rugby Pesaro, dove tutto è cominciato, Sgorbini ha continuato ad allenarsi anche durante un primo periodo di stop forzato, e anche durante la stagione al Rugby Bologna – una delle più belle e impegnative della sua carriera, anche a causa della distanza – completava gli allenamenti nella sua città Natale. Poi è arrivato Colorno, la squadra del grande salto, dello scudetto e di un’ambiente che l’ha formata ad alti livelli, fino al trasferimento al Romagnat di Clermont dove ha vinto anche il campionato francese. Un viaggio lunghissimo, impegnativo, che però Francesca ha vissuto con il supporto di una bellissima famiglia alle spalle, una famiglia che in questo caso è stata davvero il 16esimo uomo in campo.

Gli inizi: la spiaggia, il volley e le Formiche Pesaro

Francesca Sgorbini ha scoperto il rugby per caso, a 6 anni, in vacanza a Fano: “Andavamo al mare lì, vicino alla cosiddetta ‘spiaggia dei rugbisti’, dove vedevo sempre dei bambini giocare a rugby. Ho cominciato a giocare con loro, mi sono appassionata e alla fine dell’estate ho chiesto ai miei genitori di poter iniziare. All’inizio i miei genitori, soprattutto mia madre, erano un po’ titubanti, però io ero convinta. Faccio il primo allenamento con le Formiche Rugby Pesaro sotto il diluvio, nel fango, e quando finisco mamma mi chiede ‘non ti è piaciuto, vero?’. E invece rispondo che è la cosa più bella del mondo”.

“Da lì non ha più smesso, anche se contemporaneamente continuava a giocare a pallavolo” racconta papà Pier Luigi: “Poi a 12 anni, quando non ci sono più le squadre miste, ha dovuto smettere per un periodo perché a Pesaro non c’era la squadra femminile. Nonostante questo ha comunque continuato ad allenarsi con i ragazzi, pur senza poter giocare, mentre scendeva in campo nel volley. A un certo punto, però, ha fatto una scelta chiara: mi disse ‘babbo, voglio giocare a rugby’, e a quel punto ho cominciato a cercare in giro quali squadre potessero avere un’under 16 femminile, e siamo andati a Bologna, dove ci ha accolti il responsabile del settore giovanile Lucio Bini, una grande persona. Ricordo il primo viaggio, 150 km di macchina con una coda infinita, ma ne è valsa la pena. A Bologna abbiamo trovato una squadra meravigliosa dove abbiamo davvero respirato l’essenza del rugby giocato, del divertimento e della famiglia. Proprio per questo ci tengo a ricordare l’allenatore di quella squadra, Marco Minardi, che è scomparso troppo presto in un incidente stradale. Una persona stupenda”.

Bologna e Colorno: le gioie, le difficoltà e il sogno che si avvera

Non è stato un anno facile, considerando la distanza da Pesaro, ma Francesca Sgorbini voleva giocare a rugby a tutti i costi e ci è riuscita. Racconta papà Pier: “La mattina andava a scuola, poi la accompagnavamo in stazione, si allenava e la riaccompagnavano alla stazione per tornare a casa, arrivava alle 11 di sera. Faceva un allenamento a settimana lì oltre alle partite, e per il resto della settimana si allenava con i ragazzi del Rugby Pesaro, che quindi ha avuto un ruolo importantissimo anche in questo periodo particolare”. In quel periodo il sostegno della famiglia è stato fondamentale, come sempre nel corso della carriera di Francesca, che racconta: “Quando si è giovani il supporto dei genitori è fondamentale, quando a 12 anni sono stata costretta a smettere per un periodo ho vissuto una fase complicata, anche perché era da poco scomparsa mia nonna, e avere una famiglia così unita è stato fondamentale. Quando ho sentito il bisogno di dedicarmi solo al rugby sono stati importantissimi. A Bologna è stata dura perché tornavo la sera alle 11, ma mi piaceva tantissimo: quando andavo in campo riuscivo a liberarmi e ad essere felice”.

A Bologna, oltre a vivere un’esperienza stupenda, Sgorbini dimostra anche di avere le carte in regola per andare avanti: “Dopo questo bellissimo anno – racconta Pier Luigi – il profilo di Francesca ha cominciato a destare interesse, e abbiamo cominciato a capire dove potesse continuare il suo percorso. In questo frangente siamo stati aiutati da due persone importanti: Ruben Reggiani, un fotografo che veniva spesso a vedere le partite, e all’attuale consigliera Erika Morri. Secondo loro Colorno poteva essere il posto giusto per proseguire, e dopo il solito viaggio della speranza in macchina (ride, ndr) abbiamo incontrato il presidente Ivano Iemmi e l’allenatore del Colorno femminile Christian Prestera, altre due persone importanti nella crescita di Francesca. Proprio coach Prestera dopo un triangolare con Villorba e Valsugana mi disse ‘Francesca può arrivare ad ottimi livelli’. A Parma è andata a vivere in collegio, dove ha continuato a studiare: anche lì non è stato tutto facile, ma è diventata subito titolare e quell’anno Colorno vinse lo scudetto”. Un altro elemento fondamentale per arrivare a Colorno, come racconta Francesca, fu Nicola Boccarossa: “Lui giocava a Colorno e veniva da Pesaro, fu lui a mettermi in contatto con la società. Poi c’è stato il solito viaggio in macchina e da lì è cominciato tutto. Era un sogno perché a 16 anni mi sono trovata a contatto tutti i giorni con ragazze che giocavano già in Nazionale, e poi stavo andando a vivere fuori di casa per giocare a rugby, per inseguire il mio sogno”.

Veder andar via di casa una figlia così presto, a 16 anni, non è una cosa da poco, ma su questo aspetto Pier Luigi Sgorbini è sempre stato convinto: “Non è stato facile, sicuramente, ma in famiglia abbiamo sempre cercato di dare questo imprinting sia a Francesca sia a Luca, suo fratello. Abbiamo sempre voluto che facesse ciò che riteneva fosse meglio per lei, non abbiamo mai voluto forzarla: ovviamente siamo stati sempre presenti alle partite, anche in trasferta, facendo viaggi lunghi, ma comunque è stato giusto che facesse la sua vita e il suo percorso, senza sostituirci alle sue scelte ma seguendola e aiutandola”. Ricorda Francesca: “È stata tosta, perché comunque mi sono trovata a vivere da sola a 16 anni, soprattutto il primo anno sentivo molto la mancanza della mia famiglia. Però i miei genitori ci sono sempre stati, anche in trasferta. Ricordo una partita in veneto in cui c’era un solo spettatore: mio padre. Era venuto fin lì per me. Così come mio nonno, il padre di mio padre, veniva con lui per seguirmi. E poi ovviamente non si può prescindere dal sostegno economico che mi hanno dato per poter stare fuori, hanno creduto nel mio sogno e una delle cose più belle è proprio essere riuscita a ripagare la loro fiducia”.

Verso la Francia: Romagnat

Dopo lo scudetto con Colorno è arrivato l’ultimo e deciso passo avanti, quello verso la Francia. Racconta Francesca: “I miei genitori mi hanno sempre lasciato molto libera. Fino a quel momento però avevo vissuto tutto con l’incoscienza di chi è giovane. Non mi rendevo davvero conto di quello che stava succedendo: alla fine andavo a scuola e poi giocavo a rugby, quello che mi piaceva. Quando poi c’è stato il passaggio successivo, con il trasferimento al Romagnat di Clermont, credo di aver preso realmente consapevolezza di quello che stavo vivendo. Quando mio padre mi accompagnò in aeroporto ho cominciato a sentire un po’ di ansia: stavo andando in un posto completamente nuovo, senza conoscere la lingua. Non ho visto spesso mio padre piangere, ma quel giorno anche lui aveva le lacrime agli occhi, lì mi sono reso conto della portata di ciò che stavo facendo, ma anche lì lui continuava a ripetermi che sarebbe andato tutto bene, lo ha sempre fatto. Anche lì, comunque, sono sempre stati presenti: ricordo i tanti viaggi in macchina di mamma e papà per venire a vedermi e a salutarmi. Ci sono stati momenti duri per me e anche per loro, e mi riferisco agli infortuni più gravi che ho avuto, e penso sia complicato per un genitore vedere una figlia che sta male, che soffre e che è anche lontanissima da casa. Mi hanno sempre spinto a dare il massimo, ad avere coraggio e a non tirarmi mai indietro anche in questi periodi: mi sono sempre stati vicini anche da lontano, anche con dei piccoli pensieri come potevano essere un uovo di Pasqua o un regalino. Non li ringrazierò mai abbastanza”.