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Gori detto Ugo

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Lingua sciolta e passaggio veloce: poteva chiamarsi Edoardo uno così? E infatti Gori ha deciso di chiamarsi Ugo, di esser contenuto, tutto intero, in sette lettere. Comodo per la vita, perfetto per il ruolo. Un nome da titolo, dicevano i vecchi giornalisti dell’età del piombo.

Ugo è fiorentino di Borgo San Lorenzo, luogo di scontri tra guelfi e ghibellini e di prime esperienze per un giovane Giotto. Anche Gori, cresciuto e legatissimo ai Cavalieri di Prato, era molto giovane, meno di 20 anni, quando è stato chiamato per la prima volta in Nazionale: a Firenze, contro l’Australia, era Nick Mallett che lo avrebbe portato ai Mondiali neozelandesi del 2011. Da quella volta – era il 2010 – le presenze sono diventate 69, passate a a picchiettare il pallone sulle schiene degli avanti, a pensare rapido. A provare a risolvere da solo: gli è riuscito in Coppa del Mondo, nel 2015, contro la Romania. Jacques Brunel aveva fiducia in lui.

Brunel, appassionato enologo e produttore a Auch, serve a introdurre quel che può apparire come un particolare curioso: la carriera dimostra che Ugo deve aver predilezione per i luoghi dove nasce il vino: dal luogo natio (appena a sud c’è il Chianti), è finito, per nove anni, al Benetton: nella Marca trevigiana il bianco ha la meglio sul rosso.

Poi, e sino a oggi, a Colomiers, Occitania o Alta Garonna, appena a nord di Tolosa la rossa. Intorno, molta vigna bassa e vini non troppo impegnativi, perfetti per chiacchierare di rugby in un luogo dove il gioco permea le coscienze e occupa le passioni.

Per il brindisi finale a una vita da mediano lo lasciamo libero di scegliere tipo, etichetta e gradazione. Di sicuro – con quel suo sorriso contagioso, con quella sua dialettica efficace – non stapperà una bottiglia banale.