©2023 Federazione Italiana Rugby

Torna indietro

ClubHouse – Vespe Cogoleto Rugby

dalla base News |

Il Vespe Cogoleto Rugby non è solo un club sportivo: è una vera e propria comunità ovale, a trenta chilometri a ponente di Genova.
Il suo cuore, i suoi polmoni pulsano nella Club House del Molinetto, luogo simbolo di una passione rugbistica autentica per intensità e spirito.

La Club House è l’anima del Cogoleto Rugby, il frutto di sacrificio, volontariato e amicizia: valori che da sempre sostengono la sua storia. Come il campo, anche questa nasce dalla follia e dal coraggio di un gruppo di splendidi “matti” degli anni Settanta: Crukko, Giuliano, Furio, Gabe, Anto, Ivan, Marco, Oscar e Didin.

Oscar Tabor, oggi dirigente emerito del club e già presidente del Comitato Regionale Liguria della FIR, è uno di quei ragazzi. Insieme a Giuliano Ibba racconta la nascita del campo e della Club House:
«Il Campo delle Vespe e la sua Club House sono una conquista fatta di carriole, volontà e amicizia. All’inizio dividiamo il terreno con i calciatori, e i rapporti non sono certo idilliaci», sorride.
«Ma lì accanto si estende l’area dell’ex cantiere del raddoppio autostradale: un terreno che, con un po’ di fantasia, ha quasi le misure giuste per un campo da rugby. È la nostra occasione. Firmiamo un accordo con il Comune e iniziamo, da volontari, a costruirlo con le nostre mani.»

Nella primavera del 1976 parte quella che sembra un’impresa impossibile: realizzare un campo da rugby dal nulla.
Il Comune fornisce camionate di terra di riporto, la squadra – armata di carriole, pale e rastrelli – si occupa di stenderla, livellarla, togliere pietre e macigni. «C’è più sasso che terra», ricordano. «Ma la volontà è più dura della fatica».
Giorno dopo giorno, sera dopo sera, il sogno prende forma. Ogni pietra grande viene raccolta a mano e gettata verso il torrente, le più piccole ammassate e portate via con le carriole. La “schiena d’asino” del campo cresce metro dopo metro, con la testardaggine tipica di chi sa che sta costruendo qualcosa che resterà.

Per tre anni, tra pomeriggi invernali e serate estive, quella fatica diventa la vita stessa del gruppo. Insieme, affrontano le difficoltà, gli imprevisti e persino gli intrusi: accampamenti improvvisati, fuoristradisti in cerca di spazio, coppie in cerca di riservatezza. E anche qualche visita della polizia, tra burocrazia e goliardia.

«Senza campo, la Club House è solo un sogno», raccontano. «È come pensare a una dispensa senza la cucina».
Ma quel sogno, a poco a poco, si fa realtà. Tra tragedie e gioie, il campo diventa il simbolo stesso della vita.
Nel novembre 1977 arriva un dolore immenso: Marco Calcagno, detto “Testun”, giocatore e amico, perde la vita a Napoli in un incidente mentre presta servizio militare. Ha solo diciannove anni. Due anni dopo, nel settembre 1979, il campo viene inaugurato e dedicato a lui, con una partita contro i suoi compagni dell’Interforze Napoli.
«Quel giorno – ricordano – ci sentiamo adulti. Abbiamo costruito il nostro Twickenham.»

Ma i lavori non finiscono mai. Ogni stagione porta nuove migliorie: drenaggi, riporti di terra, concimazioni, impianti di irrigazione sempre più moderni.

Poi arriva la Club House, dopo anni di terzi tempi improvvisati: pasti all’autogrill, cene nelle case, locali dell’entroterra o nei sotterranei di Villa Nasturzio – ribattezzati “Il Ghetto” – e poi nella Casa del Popolo, tra birre e risate infinite.

La svolta arriva all’inizio degli anni ’90: il recupero degli spogliatoi dismessi del PalaPricone di Sciarborasca, destinati alla demolizione. Soci e genitori li rimontano al Molinetto, e da lì nasce la nuova Club House, più bella del Ritz o dell’Hilton – anche se la pasta, a volte, viene o scotta o cruda.

Perché la bellezza non sta nei muri, ma nello spirito: nello stesso spirito che unisce chiunque abbia indossato la maglia del Cogoleto Rugby, anche chi oggi vive lontano. È il legame invisibile che trasforma ragazzi in uomini e compagni in amici per la vita.

Non è un caso se chiunque entri alla Club House – da Diego Dominguez a Tommaso Castello, da Paul Griffen al più piccolo minirugbista – la sente come casa.
È un luogo caldo, familiare, popolare, pieno di storie e di volti: i ragazzi degli anni Settanta, Maria “la nonna del rugby”, cuoca burbera e generosa, e le nuove generazioni che corrono sul prato del Molinetto.

Marco, piccola Vespa bionda dell’Under 6, lo racconta così, con un sorriso:
«Per me la Club House del Cogoleto non è solo un posto dove si gioca a rugby, è la mia cameretta quando non sono a casa. Ci sono sempre un sacco di giochi, e a volte possiamo anche mangiare le caramelle, poche però. Quando fa freddo c’è la stufa accesa: mi siedo, bevo il tè al limone e gioco coi Lego. Mio papà si beve una birra – una sola! – con gli altri genitori. E quando li sento ridere e scherzare, mi sembra proprio di essere a casa.»