Appena entri, sei avvolto da un profumo familiare: birra, hamburger, spaghetti al ragù e patatine. Odori che si mescolano a quelli del sudore, dello shampoo, del bagnoschiuma. Tante voci si rincorrono: quelle di un gruppo di amici, di giocatori, di bimbi con il borsone più grande di loro, mano nella mano con i genitori.
È un connubio di suoni e odori che ti fa sentire a casa. Una casa diversa, ma sempre una casa di famiglia, solo un po’ più grande: è la Clubhouse del Biella Rugby. È la casa del club.
A raccontare l’evoluzione della Clubhouse è Riccardo Paganoni, consigliere della società, tra coloro che custodiscono la memoria del Biella Rugby, che hanno affrontato negli anni ogni difficoltà e che hanno portato il club a diventare punto di riferimento per il territorio.
Come inizia questa avventura per il Biella Rugby?
“All’inizio la Clubhouse era stata messa in piedi alla meglio, con il lavoro dei soci stessi. Erano i tempi in cui la società si organizzava da sola per le cene, i terzi tempi e tutto il resto. Il locale, però, era piuttosto lontano dal campo. Dopo le partite, si chiedeva alle squadre di spostarsi con le proprie macchine per raggiungerlo.”
Poi ci fu un primo passo in avanti?
“Sì, una seconda Clubhouse, sempre non vicinissima, ma un po’ più comoda e soprattutto più capiente. La prima, infatti, era davvero minuscola. Questa nuova sede si trovava in centro a Biella e rappresentò un passo avanti importante.”
La Cittadella, la nuova struttura, nuovi spazi e, finalmente, una Clubhouse attaccata al campo.
“Oggi la Clubhouse è tutt’altra storia: una struttura vera e propria, accogliente e funzionale. Ma, soprattutto, è vicina al campo. È la terza Clubhouse nella storia del Biella Rugby, ma la più rappresentativa. È diventata un punto di riferimento per tutta la società: per i ragazzi, per i genitori, per chiunque viva il club. È bello vedere i genitori che accompagnano i figli agli allenamenti fermarsi a parlare, conoscersi, creare legami. È proprio questa vicinanza che cementa la comunità e dà forza alla società.”
Massimo Tarello è invece colui che materialmente ha iniziato la costruzione della Clubhouse, aiutato dai tanti amici che lo hanno seguito. Ricordando i primi passi, ride e spiega:
“È stata costruita partendo da due porte di una stazione ferroviaria francese, comprate in un mercatino da uno dei nostri soci. In buona sostanza, ho prima piazzato le porte, poi ho costruito i muri perimetrali.”
La Clubhouse di oggi non ha nulla a che fare con quella degli albori.
“No, all’inizio era solo un bar, con un bancone e una birra alla spina. Poi si è ampliato: una sala ristorazione, una cucina professionale, dispense e locali per i frigoriferi. È diventato un elemento fondamentale per la vita del club. A breve avremo il permesso per aprirlo al pubblico, non solo ai soci.”
C’è un aneddoto particolare legato alla Clubhouse?
“In alcuni casi, per realizzare certe cose ci vuole un pizzico di follia: a ripensarci, noi l’abbiamo avuta. Abbiamo iniziato la costruzione senza il permesso del Comune, arrivato solo successivamente. Il tempo ha sistemato tutto, ma non nascondo che la scelta, all’epoca, fu un azzardo.”
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