L’11 aprile 2021, a distanza di poche ore, se ne sono andati Marco Bollesan e Massimo Cuttitta. Marco era vicino agli 80, “Mouse”, il topone, ne aveva 55, una delle vittime del Covid, fatale anche a sua madre.
Come dicono i francesi, difficile trovare due facce da rugby come loro: un combattente sin dall’esordio, nella Mala Pasqua del ’63, un capitano, un commissario tecnico, un team manager e un pilone-pilastro nella trincea della prima linea, sino a trasformare quella sua esperienza in un’arte da trasmettere, da divulgare: per gli ultimi insegnamenti Massimo scelse la bella isola di Jersey.
Sono morti e sono vivi, proprio come dice la haka danzata dagli All Blacks: a Marco è stato intitolato lo stadio del rugby genovese, accanto al nome di Giacomo Carlini azzurro dell’atletica tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. In realtà quel nome è conficcato nel cuore di tutti quelli che lo hanno incrociato: sono tanti e sono dappertutto.
Massimo viene ricordato con la Cuttitta Cup, voluta da FIR e SRU e dal dal fratello e metaman Marcello, sempre più simile a lui, in palio ad ogni contatto tra Italia e Scozia: i sette anni trascorsi ad allenare la mischia dei “Cardi” in blu non potevano esser dimenticati.
L’uno e l’altro hanno vissuto un inseguimento che assomigliava ad un’aspirazione: portare il rugby italiano dove non si era mai spinto.
Marco, costretto a frequentare palcoscenici minori, a vivere piccoli tour, inventò poco più di mezzo secolo fa l’avventura in Sudafrica, sferzò un ambiente, contribuì a dare una svolta che sarebbe diventata netta un quarto di secolo dopo. Inventò anche le Zebre, i Barbarians italiani, che selezionava con rapidi contatti, costruendo con entusiasmo sfide memorabili, poco usuali. .
Massimo era un bambino molto piccolo quando gli “scorridori” di Bollesan atterrarono nel Sudafrica dove lui era arrivato con la famiglia e dove avrebbe iniziato ad assaggiare il rugby ruvido di quei luoghi. Campione d’Italia con il Milan, un’esperienza agli Harlequins londinesi, quelli che giocano a un tiro di sasso da Twickenham, ha avuto il tempo e la chance per diventare uno dei protagonisti della scalata che ha portato la Nazionale a respirare l’aria fina del 6 Nazioni.
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Marco e Massimo: tre anni dopo, indimenticabili
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