Michela Sillari. «Io sono una perfezionista nello sport come nella vita dove tendo a migliorare».
Michela Sillari è una ragazza della sua età. Piccola di età e di fisico, una specie di scricciolo. Pensare che possa giocare a rugby può sembrare un azzardo ma, visto che quello in questione è uno sport migliore e non minore, tutto si spiega conoscendo la sua storia.
«Ho iniziato tanto tempo fa’, verso la seconda elementare; alle elementari perché un mio amico giocava all’Amatori Parma e sono andata lì. I miei genitori erano all’inizio preoccupati per le botte ma non mi hanno mai impedito di giocare e, anzi, mi hanno sostenuto parecchio. Poi sono passata a Piacenza perché era l’unica vicina e dopo sono andata a Noceto. Oggi gioco a Colorno».
Bene, percorso comune a molte. Ma veniamo al piatto forte. «Frequento il quinto anno del Liceo Scientifico Bertolucci di Parma e ho una media del nove. Io sono una perfezionista nello sport come nella vita dove tendo a migliorare. Nella mia classe c’è un ragazzo che in nazionale di basket e anche con lui sono stati comprensivi. Non ho una materia preferita, diciamo che non amo molto la filosofia. Credo che opterò per ingegneria a Parma, una città piccola dove si vive bene. E poi c’è parecchio rugby».
Uno sport che lascia il segno anche tra questi “secchioni” dalla faccia feroce in campo e fuori. «È un gioco bellissimo perché insegna a relazionarti con i tuoi compagni e con gli avversari. Gioco secondo centro, ho sempre giocato in quel ruolo. Questo è il primo anno che mi cimento col quindici. È un ruolo che non ha molte responsabilità in attacco e quindi gioco tranquilla mentre in difesa da touche o da mischia ti vedi tutto il campo aperto».
Più emozionata per il gioco o per un fidanzato? «Esco con uno ma niente di che. Sabato sera vado a ballare a Piacenza perché sono rimasta molto amica con le mie vecchie compagne. A Colorno mi trovo molto bene, specie con Chiara Castellarin che mi ha aiutato ad inserirmi in Nazionale».
Il rugby come chiodo fisso ma non troppo. D’altra parte diventa difficile rimanere indifferenti a certe emozioni. «Il Sei Nazioni è davvero bella come sensazione. Alla mia terza partita ero al Millennium di Cardiff! Mancava il centro titolare e ho giocato dal primo minuto. Nello stadio vuoto ma ho provato una grande emozione. Cantare l’inno la prima volta è stato fantastico anche se è stato più bello a Rovato perché c’era un pubblico numeroso».
E il futuro? «Tra dieci anni? Spero di giocare ancora. Mi piacerebbe giocare da qualche altra parte, magari in Veneto. Quando sarò più grande e più autonoma. Ho una sorella più piccola, dieci anni di differenza. Lei è il mio opposto, bionda con gli occhi azzurri e fa danza classica».
Completa la registrazione