I quattro minuti e mezzo che sconvolsero il rugby vennero a Murrayfield il 24 febbraio 2007: 0-21 quando il cronometro segnava il 6’ e in tribuna, dopo le mete di Mauro Bergamasco padovano, di Andrea Scanavacca rodigino e di Kaine Robertson neozelandese che aveva imparato il rugby in Italia, tutti erano finiti in quella che è banale definire una dimensione di sogno: era un’ubriacatura, una passeggiata nel delirio più dolce, subito sostituito da una legittima apprensione.
Era finita una brevissima partita e ne cominciava un’altra, lunga 74’, di assalti dei blu, di punizioni che Paterson avrebbe potuto calciare in mezzo ai pali e che finirono per essere all’origine di tentativi di sbarchi oltre la linea. Solo Di Rollo e Paterson varcarono quel confine ma il distacco era sempre ampio e la sabbia scorreva nella clessidra.
Quando a tempo scaduto, con il risultato in mano, Alessandro Troncon detto Tronky, segnò la quarta meta e Scanavacca la trasformò con il gesto dolce dell’altra sua personalità, quella del giocatore di golf, sul prato comparvero gentiluomini veneziani in mantello e tricorno che tributarono il più elegante degli omaggi alla prima vittoria italiana fuori dalle mura. Venne naturale accostarli a certe figure, due secoli e mezzo prima dipinte da Pietro Longhi.
Tra i cavalieri che fecero l’impresa, un tardivo e meritato premio da uomo del match da assegnare a Santiago Dellapè: se gli scozzesi non riuscirono a irrompere, a diventare padroni della touche, il merito deve esser riconosciuto al lock arrivato nel mondo – sarà un caso? – nello stesso luogo, La Plata, che ha visto venire alla luce Sergio Parisse, un altro protagonista della gloriosa giornata che la stampa scozzese avrebbe marchiato a fuoco con un titolo memorabile e spietato: Triple Clowns. Il giorno dopo, all’aeroporto, quella prima pagina correva di mano in mano dando la scossa a chi aveva dormito poco o non aveva dormito affatto. Meglio di un bricco di caffè forte.
Gli scozzesi si sarebbero presi una bruciante rivincita sette mesi dopo, a St Etienne quando il piede di Paterson sarebbe stato spietato: sei calci a segno, in fondo a un match che avrebbe prodotto una sola meta, di Troncon, prima del fischiare del pallone che Bortolussi spedì a un palmo dal palo, la distanza che separò gli azzurri dai quarti di finale di Coppa del Mondo.
A Murrayfield Pierre Berbizier, detto le petit general, aveva avuto la sua Austerlitz e gli aveva dato seguito, due settimane dopo, battendo il Galles. L’addio fu una sconfitta stretta, non una Waterloo.
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