Nel giorno della 131° volta della Calcutta Cup, la prima volta di un arbitro italiano nel 6 Nazioni: sabato 24 febbraio Andrea Piardi dirigerà Irlanda-Galles con l’assistenza di Gianluca Gnecchi. Tutti e due bresciani, coetanei, vecchi amici se si possono definire tali due giovani appena ai di là dei trent’anni, uniti dalla stessa passione che, a dire il vero, in Andrea è stata inoculata da Gianluca.
“E’ capitato una sera, nello spogliatoio. Gianluca aveva già cominciato, due anni prima, e così mi ha detto: perché non provi anche tu? Gli ho dato retta, ho smesso di giocare in terza linea, ho iniziato la trafila ed eccomi qui”.
All’Aviva Stadium prevista una folta rappresentanza bresciana.
“Mio padre Giuseppe, la mia compagna Alessandra, Flavio e Anna, i genitori di Gianluca, e un bel gruppo di amici”.
Qualcuno in vena di scherzi dice che Piardi ha cambiato strumento, passando dagli archi ai fiati.
“Forse quel qualcuno ha saputo che da bambino suonavo il violino. Ora, il fischietto. A seguire, avanti del Fiumicello e del Brescia, aspirante arbitro, arbitro. Sino alla qualifica di internazionale. Con sei presenze, da assistente, in Coppa del Mondo”.
Una vita densa…
“Di tempo per una delle mie passioni, le camminate in montagna, ne è rimasto poco. Corro, vado in palestra: l’arbitro deve essere in forma. Pensi, mentre stiamo parlando, sto per salire n aereo: destinazione Galles, per Cardiff-Connacht. Ormai di quella città mi sento cittadino”.
E ora, la promozione definitiva. Un italiano a dirigere quello che chiamano la sfida del canale di San Giorgio, il braccio di mare, spesso tempestoso, che divide Irlanda e Galles.
“Magnifica occasione ed esperienza coinvolgente in un luogo ricco di fascino, moderno ma già storico. Sono felice per me, inutile nasconderlo, ma lo sono anche per tutto il nostro movimento e per il settore arbitrale”.
Il ruolo di chi dirige il match si sta facendo sempre più spinoso, delicato, aperto a discussioni che possono precipitare in polemiche per un uso sempre più diffuso della tecnologia nel tentativo di un’esattezza che non è agevole scovare nel gioco: il rugby ha spesso costruito storia e mito sull’imponderabile, sull’inesatto. Lei cosa ne pensa?
“Potrei sbrigarla con un adagio popolare e dire che la situazione è quella del gatto che tenta di mordersi la coda. Il Tmo era nato per decidere se una meta era buona o no. Ora la situazione è cambiata: si ricerca la perfezione e così si ricorre con più frequenza alle immagini ripetute e rallentate. E si sta verificando un progressivo allargamento sui punti che possono creare dubbi, controversie, come l’avanti volontario, l’antigioco”.
La partita più difficile che si è trovato a dirigere?
“E’ capitato di recente: Bath-Racing 92 di Champions. Tesa, dura, ispida”.
Vedrà che anche a Dublino non sarà una gita di piacere.
“Lo so ma non ho nessun timore”.
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