Il 26 febbraio 2017, a Twickenham, l’Italia sfiorò un colpaccio che avrebbe avuto dell’incredibile, mettendo in crisi l’Inghilterra con una tattica molto particolare. Tutto il mondo, quel giorno, parlò della “fox”, la strategia ideata dallo staff azzurro basata su una zona grigia del regolamento. Gli inglesi andarono in crisi, chiusero il primo tempo in svantaggio e riuscirono a prendere il largo soltanto negli ultimi 10 minuti, chiudendo con un 36-15 che però non rispecchiava del tutto quanto successo in campo. Quel giorno a Londra c’era anche Edoardo “Ugo” Gori, che ricorda le emozioni di quel match: “Fu una strategia geniale, che poi portò addirittura a un cambio di regolamento. L’idea fu di coach Venter, l’allenatore della difesa, che aveva trovato questa ‘zona grigia’ nel regolamento: se placcavi un giocatore senza rimanere a terra con lui la ruck non esisteva più, quindi potevamo avanzare e disturbare gli avversari. Abbiamo impostato tutta la partita su questa cosa, e funzionò, e fu un peccato non essere riusciti a vincere. Avevamo un difensore sull’asse della ruck e le due guardie ai lati, e poi il numero 9 – che in quel caso ero io – doveva fare il giro e disturbare l’attacco inglese”.
Come avevate preparato la partita in settimana, sapendo di proporre una tattica molto particolare?
“È stata una settimana particolare, perché comunque si trattava di una cosa che nessuno di noi aveva mai fatto. Anche a livello tattico andava applicata in modo diverso a seconda delle zone del campo. Farlo troppo vicini alla nostra linea di meta, ad esempio, sarebbe stato molto rischioso perché agli inglesi sarebbe bastato fare un pick&go per passare. Durante la settimana avevamo avuto nei problemi nel capire come difenderci in queste situazioni, e non sapevamo se in partita avrebbe funzionato. Saremmo andati ad affrontare un’Inghilterra fortissima, a Twickenham, con una strategia così particolare: non eravamo sicuri di ciò che sarebbe accaduto, perché la partita avrebbe potuto diventare molto difficile”.
Invece ha funzionato, e loro non se lo aspettavano…
“Sì, nel primo tempo non ci hanno capito niente. Chiaramente prima di scendere in campo abbiamo parlato con gli arbitri, che ci hanno confermato che il regolamento ci avrebbe permesso di andare oltre il raggruppamento e che se lo avessimo fatto non ci avrebbe fischiato contro, e gli inglesi non riuscivano a tirarsene fuori. Peccato per le 2 mete prese a inizio secondo tempo che li hanno rimessi in partita. Mi è dispiaciuto molto anche non poter rientrare nel secondo tempo, perché non avevo superato il protocollo concussion nonostante stessi bene. Purtroppo ai tempi il test era solo in inglese, e una parte consisteva nel sentire 10 parole – in quel caso in inglese – slegate l’una dall’altra e ripeterle più volte in un breve periodo di tempo, per poi ripeterle nuovamente alla fine del test. Il mio inglese non era perfetto e alla fine non riuscii a superare il test, fu un peccato perché pensavo di stare bene”.
Nonostante quelle 2 mete l’Italia rimase in partita fino alla fine. Ci credevate?
“Sì, bisogna sempre crederci e quella fu una partita dove rimanemmo attaccati al risultato fino alla fine, e fu un peccato non riuscire a portarla a casa. Sarebbe stato bello. Questa è la peculiarità delle squadre britanniche, che magari rispetto a noi latini hanno questa capacità di stare sempre ‘dentro’ la partita, anche in momenti di grande difficoltà. Noi li abbiamo fatti soffrire tanto con un gioco completamente diverso dal solito, ma sono riusciti a tirarsene fuori”.
Però dopo la partita si parlava più della “fox” che del risultato…
“Dalla stampa estera non fu molto apprezzato, perché lo consideravano un modo per ‘uccidere’ la partita, e infatti subito dopo cambiarono le regole. Lo capisco, perché se tutte le squadre avessero usato questo sistema sarebbe stato difficile giocare a rugby. Sapevamo che sarebbe stata una strategia da usare ‘una tantum’, ma quando affronti avversari così forti è giusto provare ad usare tutti i mezzi che hai a disposizione. L’abbiamo studiata molto bene, e secondo me fu un colpo di genio perché ci permise di essere competitivi contro una squadra molto più forte”.
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