L’8 giugno è il D-Day del rugby italiano, uno sbarco sul futuro: a 22 anni Marco Bortolami diventò il più giovane capitano: Sergio Parisse e Martin Castrogiovanni debuttarono, sotto i 19 anni il primo, sotto i 21 il secondo. Applicando etichette così amate dagli storici, fu la partita dei Centurioni: tutti e tre sarebbero andati oltre quella quota, una montagna molto alta, una vetta permessa a pochi. Nella stessa data, cento anni fa, George Mallory non riusci a salire sull’Everest.
Il luogo è Hamilton, Kinkiriroa in maori, isola nord della Nuova Zelanda, il paese di chi allora era commissario tecnico degli azzurri, John Krwan: inutile dire che per il suo passato e per la sua cultura ovale John era uno che vedeva lontano e limpido.
Per il lancio del capitano verdissimo e dei due giovani robusti virgulti, Kirwan scelse la partita più difficile e ambita, il faccia a faccia con gli All Blacks. Erano Neri forti. Howlett, recordman di mete, Thorne, che avrebbe vinto anche nella league, Mehrtens che sapeva parlare in bresciano.
Finì 64-10, nove mete a una, tre di Ralph. Quella azzurra la segnò il giovane capitano. Parisse giocò tutti gli 80’, Castrogiovanni entrò al 13’ del secondo tempo, quando in campo andò quel buonanima di Jonah Lomu che venti minuti dopo mise una delle sue tante firme.
Da allora molto rugby è passato sotto i ponti: Bortolami è andato al Narbonne (la zona è famosa per il miele, il più buono del mondo, dicono loro) e poi al Gloucester, scegliendo come domicilio la bella Cheltenham, sempre mantenendo i gradi: esser capitani è una dimensione che può esser innata ma deve anche esser coltivata. Di quell’esperienza ogni tanto ha nostalgia ma da generale del Benetton (con gli anni le stelle sulle spalline aumentano…) sta conducendo campagne sempre più efficaci. Sergio e Castro hanno lasciato i loro segni profondi in Francia e Inghilterra. E tutto è cominciato agli antipodi di Hamilton, ventidue anni fa. Tempus fugit, dicevano i latini.
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