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Linee di meta: Nicola Bolognini, Federico Zanandrea, Emanuele Pegoraro, Guido D’Addario

dalla base News |

“Ho fatto tutto il percorso delle giovanili nel Monti Rugby Rovigo Junior, dove ho conosciuto Emanuele Pegoraro, il mio allenatore durante gli anni dell’under 14. È stato per me importantissimo perché mi ha fatto capire il vero significato di questo sport, mi ha fatto appassionare ancora di più mettendo sempre al primo posto il divertimento dei ragazzi” – Nicola Bolognini

“Ho cominciato a giocare a Villorba, ma sono arrivato presto al Benetton, già in under 6. Il mio riferimento è stato Guido D’Addario, che è stato il mio allenatore in Benetton dall’under 12 fino all’under 17. Gli devo molto” – Federico Zanandrea

Nicola Bolognini e Federico Zanandrea vengono da due grandi realtà del rugby italiano: Rovigo e Benetton. E soprattutto, hanno trovato due allenatori in grado di guidarli non solo a livello tecnico, ma anche umano ed educativo, contribuendo a farli arrivare fino all’Italia under 20.

Nicola Bolognini, pilone dell’Italia under 20 e del Rugby Badia, è cresciuto nel Monti Rugby Rovigo Junior e deve tanto a Emanuele Pegoraro, che ha giocato a Rovigo e poi in Serie A fino ai primi anni 2000, ha smesso presto a causa di una serie di infortuni, e poi ha iniziato subito la carriera di allenatore, prima a Badia – dove aveva fatto gli ultimi anni da giocatore – per poi tornare a Rovigo, dove allena da oltre 15 anni. “Il Monti Rugby Rovigo Junior è parte di una realtà dove si vive di rugby, basta vedere le partite della prima squadra e il calore della tifoseria. Fino all’under 14 lavoriamo principalmente con ragazzi di Rovigo o zone limitrofe, poi in under 16 e in under 18 integriamo le squadre che magari non riescono ad avere un gruppo completo. Ci troviamo quindi ad avere un gruppo anche di 60 giocatori con i quali si può fare anche una doppia squadra, cerchiamo di essere il fulcro del movimento della zona, come Treviso, Padova, Verona”.

“Ho allenato Nicola in under 14, dove si fa il passaggio al gioco ‘reale’, molto vicino a quello seniores” racconta Pegoraro: “A pelle ho avuto l’impressione di avere davanti un ragazzo volenteroso, costante, ma soprattutto molto intelligente: capiva tutto subito, si adattava velocemente alle situazioni. E poi non mancava mai a un allenamento, doveva essere proprio malato non per venire. Il suo comportamento era un esempio e uno stimolo anche per gli altri ragazzi. Era bravo anche a scuola, faceva il liceo scientifico a Rovigo e ha sempre avuto buoni voti. Era sempre allegro e felice, portava tanta positività in campo, poi quando era il momento di lavorare seriamente invece era il primo a dare il 100% portandosi dietro anche gli altri. Ho allenato anche suo fratello minore, che aveva lo stesso atteggiamento, e questo fa capire anche l’importanza di avere una famiglia come la loro, in grado di dare un’impostazione e un’educazione giusta”.

La presenza di giocatori che fin da subito danno l’impressione di avere un rugby nel DNA rende ancora più importante il ruolo dell’allenatore, che deve inserire comunque questi ragazzi in un contesto di squadra affinché migliorino ancora e migliorino contemporaneamente anche gli altri: “In under 14 si vede tanto la differenza fisica, quindi si può anche impostare il gioco dando la palla al ragazzo più grosso, ma non servirebbe a crescere. Personalmente e anche a livello di club, a Rovigo abbiamo sempre cercato di inserire questi giocatori in un contesto che valorizzi tutti: i più bravi devono dare l’esempio e devono contribuire anche a far crescere tutti gli altri, anche se magari il risultato immediato non arriva. La crescita è più importante del risultato della singola partita. Faccio un esempio: se a inizio stagione ho 20 ragazzi il mio obiettivo deve essere quello di averne 25 l’anno successivo, non 15 perché alcuni si perdono per strada. Poi magari non tutti diventano dei campioni come Nicola o come Mirko Belloni, che ho allenato sempre in under 14 e che adesso viene invitato ai raduni da Gonzalo Quesada, ma la cosa importante è dare a tutti gli strumenti per crescere non solo nel rugby ma nella vita”.

Per Federico Zanandrea, centro del Mogliano e dell’Italia under 20, il principale riferimento è stato Guido D’Addario, ex giocatore, adesso allenatore e fino all’anno scorso anche responsabile del settore giovanile del Benetton: “Col rugby è stato amore a prima vista. Mia mamma mi portò a una partita di mio fratello quando avevo 6 anni, il giorno dopo ho iniziato a giocare anch’io. Ho fatto tutto il minirugby a Mogliano, poi sono passato in Benetton fino alla Serie A, poi ho smesso a causa di un infortunio e sono rimasto nel mondo del rugby come allenatore. Ho iniziato con il minirugby ed è stato come innamorarsi di nuovo di uno sport che già amavo. Lavorare con i bambini è bellissimo. In questo periodo ho conosciuto ragazzi come Federico Zanandrea, Piero Gritti e Giulio Sari” racconta D’Addario: “A Treviso le giovanili sono importantissime. Abbiamo la doppia squadra in tutte le categorie, a volte nei più piccoli anche di più. Inoltre a inizio stagione facciamo una settimana gratuita di stage che serve sia a far ricominciare i nostri tesserati sia a far avvicinare bambini e bambine nuovi: arrivano in tantissimi ed è compito nostro provare a conquistarli”.

“Federico aveva questa capacità di essere tranquillissimo nei momenti di svago e iper-concentrato e competitivo durante gli allenamenti e le partite. Era così in under 10 ed è così ancora oggi. Aveva già le caratteristiche che lo hanno portato fino all’Italia under 20: era molto forte nell’uno contro uno, sul quale comunque ha fatto un grande lavoro per migliorarsi sempre di più. Chiaramente quando hai dei ragazzi così forti devi insegnare loro anche ad inserirsi in un contesto di gruppo. La sua bravura nell’uno contro uno e la sua capacità di risolvere le cose da solo all’inizio gli ha reso più difficile gestire le superiorità e giocare con i compagni, ma ha fatto un grande lavoro di apprendimento. E in questo secondo me il ruolo dell’allenatore è importantissimo: è vero che l’obiettivo è segnare la meta e quindi se la segna da solo il ragazzo pensa che vada bene lo stesso, ma è importante fargli capire che quando si cresce e le fisicità si livellano se non si impara a leggere le situazioni diventa tutto più difficile. Per fare un esempio, a livello di Mondiale o Sei Nazioni under 20 il due contro uno non lo risolvi sempre battendo il tuo avversario, devi giocare col compagno, e Federico ha fatto un grande lavoro su questo”.

D’Addario, che fino all’anno scorso è stato anche responsabile di tutto il settore giovanile, ha poi raccontato come il Benetton unisce la parte di crescita tecnica a quella educativa e umana: “Nel minirugby più che di allenatori si parla di educatori. È giusto insegnare fin da subito l’importanza del lavoro, ma la cosa più importante è che si divertano e crescano in un ambiente sano. A Treviso abbiamo tanti numeri e questo aumenta anche la competizione all’interno dei gruppi, e il nostro obiettivo deve essere fare in modo che tutti i ragazzi possano rimanere nell’ambito del rugby, come giocatori ma anche come allenatori o arbitri, ad esempio. A tutti i ragazzi, compreso Federico, ho fatto fare il corso da arbitri e quello da allenatore: c’è chi chiaramente prova a fare tutto il percorso da giocatore per arrivare all’alto livello, ma anche chi può costruirsi una strada alternativa. Molti ragazzi usciti dalle giovanili del Benetton allenano, alcuni arbitrano, e questa per noi è la vera vittoria: tenerli il più possibile legati al mondo del rugby e al nostro movimento”.