©2023 Federazione Italiana Rugby

Torna indietro

Linee di meta: Michele Lamaro e Marco Sepe

dalla base News |

“Difficile identificare, tra i tanti, un momento in particolare che mi lega a Marco Sepe, una delle persone più importanti nella mia crescita rugbistica e mio allenatore nelle giovanili del Primavera Rugby. Ricordo quando feci un intervento in ruck e lui disse a mia nonna “Vede, Michele non ha paura”, e questa cosa le rimase talmente impressa da ripetermela sempre. In qualche modo è entrata dentro di me. E poi ricordo quanto ci spingesse ad essere felici di giocare insieme, indipendentemente dal risultato” – Michele Lamaro

Una vita al Primavera, prima da giocatore e poi – dopo un infortunio – da allenatore delle giovanili. Proprio all’inizio di questa seconda vita sportiva, Marco Sepe – che adesso lavora a Londra – ha incontrato il piccolo Michele Lamaro: “Ho iniziato a giocare a rugby nel 1993 alla Primavera, facendo tutto il percorso delle giovanili fino all’under 18, quando un infortunio mi ha portato a smettere e a diventare allenatore. Ho cominciato nel 2004, e proprio nella prima squadra che ho allenato ho trovato Michele”. Proprio il Primavera Rugby, club storico nato a Roma nel 1976 proprio con l’obiettivo di occuparsi fin da subito dei più piccoli, come spiegherà poi anche Sepe, è il luogo dove l’attuale capitano della Nazionale è cresciuto per ben 8 anni.

“È sempre stato un bambino vivace, vispo, sveglissimo, ricettivo” racconta Sepe: “A 6 anni praticamente era già un capitano. Ricordo uno dei primi tornei in trasferta che facemmo ai tempi: la sera vado a fare il controllo delle stanze, tutti i bambini avevano il pigiama, lui era sotto le coperte con maglietta, pantaloncini e calzettoni per il giorno dopo. Gli chiedo: ‘Non ti metti il pigiama?’. E lui mi dice: ‘No, preferisco così, domani mattina devo solo lavarmi e fare colazione e sono pronto’. Praticamente un soldato! (ride, ndr). E poi era assolutamente autonomo fin da piccolo, al massimo veniva il fratello Pietro a controllare, ma aveva una maturità impressionante”.

“Un’altra cosa che mi ha sempre impressionato è la sua capacità di trovare soluzioni, di adattarsi ai problemi e di migliorarsi continuamente. Quando non gli veniva una cosa si arrabbiava, ma ascoltava i consigli degli allenatori e ci provava finché non ci riusciva. Pur essendo sempre stato molto completo da bambino non era velocissimo. Per lavorare sulla velocità facevo fare ai bambini un esercizio di propriocettività, una sorta di ‘acchiapparella’ uno contro uno scalzi, in cui ogni bambino doveva riuscire a toccare quello che aveva di fronte. Lui già a 7 anni, per sopperire alla mancanza di velocità, utilizzava dei cambi di direzione per sbilanciare l’avversario e non farsi prendere: in due anni non è mai stato preso da nessuno. Poi a 7 anni giocava già in under 9, disputammo un torneo importante e a un certo punto Michele andò via aprendo un intervallo, si trovò davanti l’ultimo avversario: fece un doppio cambio di passo, destra-sinistra e destra-sinistra due volte, il bambino si siede per terra e lui va a fare meta. L’allenatore della squadra avversaria viene da me urlando davanti a tutti: ‘Non è possibile, questo bambino è più grande, dovrebbero squalificarvi’. Io lo abbraccio e gli dico ‘Amico mio, lo sai che lui ha 7 anni? È il più piccolo di tutti’. È rimasto scioccato”.

Quando ci si ritrova, soprattutto nelle categorie giovanili, con un bambino così forte, il lavoro degli allenatori e delle società diventa fondamentale per fare in modo che cresca nella maniera giusta e che allo stesso tempo anche tutti i compagni possano migliorare senza esserne oscurati. Spiega Sepe: “Sotto questo aspetto il Primavera Rugby è sempre stato l’ambiente giusto, del resto questo club era nato nel 1976 proprio per occuparsi del settore giovanile del Cus Roma, e il nome stesso – Primavera – rimanda alla formazione dei giovani. Io dico sempre che tutti partono dallo stesso punto. Poi ovviamente c’è chi ha qualcosa in più, ma la cosa importante è far percepire loro che sono ancora bambini, devono vivere l’esperienza in modo sano, che sia la gioia di una vittoria o la delusione di una sconfitta. In questo poi Michele non ha mai creato problemi, anzi, era già un capitano nel senso più positivo del termine, perché trascinava in maniera sana e positiva anche gli altri bambini, che si appoggiavano a lui. Faceva dei discorsi incredibili, in cerchio con i compagni, già a 7-8 anni, era uno spettacolo, e spingeva tutti gli altri bambini a impegnarsi di più”.

“Tutto questo – prosegue Sepe – rappresenta perfettamente ciò che è lo spirito del Primavera, che ha sempre dato una grandissima attenzione ai ragazzi e ai bambini. Noi abbiamo sempre lavorato cercando di sviluppare l’aspetto umano allo stesso modo di quello sportivo. La Primavera magari ha vinto pochi trofei, ma è sempre stata una squadra in grado di far crescere i ragazzi nel modo giusto. Dalla Primavera è uscito anche Ludovico Nitoglia, e anche mio fratello Michele Sepe è partito da qui ed è arrivato a ottenere 3 caps con la Nazionale”.

Infine, Sepe conclude con un aneddoto legato proprio al racconto introduttivo fatto da Lamaro: “La nonna era molto presente. Non viveva a Roma ma veniva spessissimo per veder giocare lui e il fratello Pietro. Una volta siamo andati tutti insieme a una partita dell’Italia under 18 in cui era in campo Pietro e in tribuna c’era anche Georges Coste. Fu bellissimo perché Coste parlava solo con la nonna, appassionatissima (ride, ndr). Al di là dell’aneddoto, però, è una cosa molto indicativa: Michele è cresciuto così perché ha avuto alle spalle una famiglia che gli ha fatto vivere lo sport in maniera sana, senza imposizioni o pressioni”.