Sergio Parisse, a lungo parigino, inventore della “parissina”, un improvviso e geniale passaggio dietro la schiena, tolonese al meriggio di carriera e all’inizio di quella tecnica, sta per ricevere l’applauso dell’Olimpico. Lo merita: è stato il capitano, ha guidato la squadra con l’azione e con le parole anche in mezzo a difficili flutti, non ha avuto timore di un gesto clamoroso: un suo drop avrebbe rovesciato il punteggio e trasmesso scosse telluriche allo Stade de France. Peccato non siano più di moda o non ci sia più tempo per le partite celebrative: XV di Parisse contro Resto d’Europa o del mondo avrebbe occupato un pomeriggio indimenticabile.
Sergio è il simbolo di un legame da “strana coppia” tra il rugby italiano e il rugby francese. Loro, i Galli, hanno sempre guardato gli italiani con un certo senso di superiorità, a volte di sufficienza: per lunghi anni la loro squadra di vertice giocava soltanto con le vecchie Union, nel 5 Nazioni, o con le grandi dell’altro emisfero in pomeriggi strenui a Colombes o al Parco dei Prinicipi. Per “les italiens” (senza usare un nomignolo più dispregiativo…) erano sufficienti i rincalzi, etichettati con una piccola marea di sigle.
Eppure c’è sempre stata vicinanza, c’è sempre stato flusso migratorio, sin dai tempi di Maci Battaglini che giocò a Vienne e a Tolone e di qualche “esule” che andò a cercar fortuna nella rugby league, quello che i francesi chiamano jeu a XIII. Poi vennero Franco Zani, una vita all’Agen, e Sergio Lanfranchi che scelse Grenoble, la città che nel ’63 ospitò la Mala Pasqua, un momento di svolta. Contro la migliore Francia l’Italia di un esordiente Marco Bollesan tenne duro sino al 79’ e qualcuno sostiene che il Tmo oggi annullerebbe la meta di Darrouy.
Che i francesi amino arruolare il meglio nella loro Legione Straniera è testimoniato dai dati forniti dagli archivi: nel 2011, al Flaminio, seconda vittoria dopo quella di Grenoble ’97, in campo otto azzurri di Franca: cinque del Racing (Masi, Mirco Bergamasco, Dellapè. Festuccia, Lo Cicero), uno del Clermont (Canale), uno del Brive (Orquera) e uno dello Stade Francais, Sergio naturalmente.
Ogni angolo, ogni dipartimento dalle Alpi al Paese Basco (Pez al Bayonne, Masi al Biarritz), da Parigi (Mauro Bergamasco allo Stade Francais al tempo dei grandi show) ai Pirenei (Perugini al Tolosa e oggi Capuozzo), dal centro (Troncon al Clermont) all’Occitania (Gori al Castres), da Lione (Page Relo e Ioane) alla regione dove si parla il catalano (Allan e Ceccarelli al Perpignan) sino alla costa del Mediterraneo (Paolo Garbisi al Tolone, dopo la parentesi a Montpellier), ha visto italiani di ieri e di oggi meritare lo stipendio e guadagnar stima e simpatia.
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