È il 74’ di Italia-Australia, 12 novembre 2022. Gli Azzurri, dopo aver giocato 65 minuti di livello stellare contro i Wallabies, stanno soffrendo. Gli australiani sono tornati sotto e sono a soli 3 punti dal pareggio. Il punteggio in quel momento dice 25-22, ma c’è un calcio di punizione a favore dell’Italia. L’Artemio Franchi di Firenze, che fino a quel momento aveva trascinato gli Azzurri, adesso trattiene il fiato. Dalla piazzola si presenta Edoardo Padovani, l’uomo che non ti aspetti. Veniva da un infortunio, non doveva nemmeno giocare, invece è entrato, è in campo e si prende la responsabilità più importante e mette dentro il piazzato del 28-22: “Quella palla era pesantissima. Non era un pallone da rugby, sembrava una palla medica da 3 kg. In più il primo calcio di quella partita l’avevo mandato in tribuna: non era facile, ma aver messo dentro quei 3 punti è stato importantissimo per la squadra, e anche per me” racconta Padovani, oggi trequarti del Mogliano in Serie A Elite.
Un punto in più
Il pallone entra dentro, il Franchi esplode in un boato e poi torna a tenere il fiato sospeso. Comincia l’assalto dell’Australia. Una carica dietro l’altra, con l’Italia che combatte, lotta, soffre e a tempo scaduto cede. Segna Cadeyrn Neville, e il sogno sembra svanire: “Era un momento complicato, non riuscivamo ad uscire dai 22. Lì è stato difficile, anche perché mi sentivo responsabile avendo sbagliato un placcaggio proprio in quell’occasione. E poi a quel punto la cosa peggiore è non essere più padroni del proprio destino, perché è tutto legato alla trasformazione e non puoi più farci nulla. La partita non è più nelle tue mani”. Alla fine Ben Donaldson sbaglierà quella trasformazione, accompagnato dal boato del Franchi che ricorda – come sempre – la più crudele legge dello sport: a un metro di distanza c’è uno che piange e uno che festeggia, sullo stesso campo. “Sicuramente siamo stati fortunati, ma quella partita l’abbiamo vinta meritatamente perché per 65 minuti avevamo giocato un rugby stupendo ed eravamo in uno stato di forma strepitoso, come avevamo dimostrato anche con le Samoa (vittoria per 49-17). E anche contro il Sudafrica, prima di cedere nella ripresa, avevamo giocato un grandissimo primo tempo”.
Sliding doors
Finirà 28-27. Alla fine quei 3 punti messi dentro sono stati decisivi: “È stato tutto una sorpresa, anche perché venivo da un momento complicato. Avevo saltato la partita con le Samoa per un infortunio alla caviglia ed ero rientrato all’ultimo. In più, durante la settimana avevo avuto l’influenza, ma comunque avevo preparato la partita sapendo di dovermi far trovare pronto in caso di necessità. Ricordo questi momenti passati a letto in cui ripassavo mentalmente tutti i compiti che avrei potuto svolgere in partita, anche perché potendo coprire tre ruoli – apertura, ala ed estremo – avevo bisogno di farmi trovare mentalmente pronto e preparato. Quando Kieran mi disse che sarei entrato nei 23 ho sentito la responsabilità, e in questi casi la difficoltà principale è il non sapere in quale ruolo si verrà schierati. Fortunatamente avendo sempre giocato come utility back sono abituato ad adattarmi in fretta e questo mi ha aiutato. Anche perché in certi momenti devi spegnere tutte le voci che ti ronzano nel cervello e pensare solo ad entrare in campo”.
Dominio e consapevolezza
Ritornando all’inizio, quell’Italia gioca una partita strepitosa. La difesa australiana è totalmente in balia delle imprevedibili linee di corsa degli Azzurri, i trequarti arrivano da tutte le parti e gli avanti (su tutti Lucchesi, che sarà player of the match) si impongono fisicamente. Al 20’ segna Pierre Bruno, poi al 25’ arriva quella che Padovani considera “una delle mete più belle mai segnate nella storia del rugby italiano. Un passamano dietro l’altro, una cosa meravigliosa”. È un’azione in cui gli Azzurri viaggiano a velocità doppia rispetto agli avversari: Lucchesi, Allan (che prende pure una botta tremenda), Ioane, Morisi, Brex e poi Capuozzo, che apre il gas e schiaccia per il 17-3. Poi l’Australia ritorna sotto, anche se la seconda meta di Capuozzo (dopo un gran passaggio di Ioane) la rispedisce indietro: “Stavamo giocando meglio, ma concedevamo troppi falli e questo permetteva loro di rimanere in partita. Non ci siamo mai disuniti, anche perché sapevamo di potercela fare, lo sentivamo. Avevamo preparato la partita nel modo giusto: sapevamo che l’Australia stava vivendo un momento di difficoltà ma non ci siamo concentrati su questo. Avevamo studiato i loro punti deboli, ma una volta fatto questo poi ci siamo focalizzati su noi stessi, sulle nostre qualità e su quello che potevamo fare. E poi una volta scesi in campo col passare dei minuti ci siamo resi conto sempre di più che si poteva fare: e poi c’era lo stadio che ci trascinava, un tifo bellissimo che ci caricava ancora di più. Anche in panchina continuavamo a dircelo: ‘Caspita, si può fare!’ Avevamo questa percezione”
Dopo 3 anni
Ancora novembre, ancora Italia-Australia, questa volta a Udine. Le due squadre tornano ad affrontarsi dopo quel match rimasto nella storia del rugby italiano. Nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata. Gli Azzurri hanno ottenuto altre vittorie importanti dopo essere passati attraverso momenti difficilissimi, mentre i Wallabies stanno uscendo da quella crisi cominciata proprio nel 2022: “Abbiamo le capacità di portare a casa anche questa partita. Chiaramente l’Australia è in un momento diverso rispetto al 2022, è uscita da un periodo difficile ma ha disputato una grande stagione, facendo vedere cose importanti sia contro i Lions che nel Rugby Championship, ma anche noi siamo cresciuti ancora di più e rispetto a loro saremo anche più freschi, visto che la loro stagione internazionale non si è mai interrotta da luglio. Le aspettative dopo il successo di tre anni fa incideranno? Non credo. Ogni partita fa storia a sé, molti ragazzi sono maturati ulteriormente e hanno ancora più consapevolezza nei loro mezzi”.
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