Categoria: dalla base
Linee di meta: Alessandro Izekor e Alberto Chiesa
“Alberto Chiesa è stato prima mio allenatore nelle giovanili del Calvisano per poi diventare mio compagno in prima squadra. Ai tempi dell’under 18 è stato la mia guida, mi ha fatto capire che avevo la possibilità di arrivare nel grande rugby e mi ha dato tutti gli strumenti per farlo. Oltre ad essere stato un grande allenatore per me, è stato poi anche un grande compagno di squadra: lo ascoltavo sempre, seguivo i suoi consigli, le sue indicazioni. Siamo sempre rimasti in contatto, è grazie a lui se sono riuscito ad arrivare fino a qui” – Alessandro Izekor Alberto Chiesa, oggi direttore tecnico dei Cavalieri Union Prato e in passato giocatore e allenatore dell’Under 18 a Calvisano, ha visto passare davanti a sé tanti talenti che oggi fanno parte dell’alto livello e che sono partiti proprio dalla “base” di Calvisano. Con Izekor, come già spiegato dallo stesso giocatore, si è creato un grandissimo legame, ma essendo stato anche al fianco di Massimo Brunello nel 2019 come assistente dei trequarti e “guida”, essendo il capitano e il giocatore più anziano, Chiesa ha lavorato anche con Jacopo Trulla, Pierre Bruno, Federico Mori, Matteo Minozzi, Danilo Fischetti, tutti parte integrante della rosa di quel Calvisano. “Il percorso di Alessandro Izekor è stato particolare, nel senso che quando è arrivato a Calvisano in realtà non era ancora del tutto formato fisicamente. Se lo vedi adesso dici ‘non è possibile’ (ride, ndr) ma ha sempre avuto del potenziale a livello fisico, sapevamo che poteva dare tantissimo, ma al di là di questo è stato bravissimo a lavorare tanto sulla tecnica, perché senza quella non puoi arrivare ai livelli a cui è arrivato lui. Ha avuto anche una grande crescita a livello di testa, è maturato davvero bene. Per Alessandro mi sento un po’ una ‘chioccia’, ho sempre cercato di dargli consigli e supporto, ci siamo sempre confrontati e il rapporto con lui è bellissimo. Lui mi vede tanto più grande di lui, ma quando giocavamo insieme per me era un compagno di squadra: è una persona davvero piacevole e sono felice di averlo nella mia vita” racconta Chiesa. Il lavoro di Chiesa ai tempi del Calvisano è stato particolare, poiché seguiva i ragazzi dell’Under 18 e contemporaneamente giocava in prima squadra. Questo ruolo di allenatore-giocatore, però, si è rivelato molto utile per la crescita dei ragazzi: “Credo sia stato molto formativo per i ragazzi, perché ci vedono comunque come degli ‘idoli’ in qualche modo, poiché in settimana lavoravamo insieme e poi la domenica ci vedevano giocare in Eccellenza, e questo è un grosso vantaggio perché è anche più facile farsi seguire ed essere di supporto nella formazione in un momento importantissimo nella crescita degli atleti. Ricordo che quando ero giovane e arrivava un giocatore della prima squadra io lo vedevo come un punto di riferimento, e così cercavo di fare con i ragazzi: alla fine tutto quello che ho imparato e che ora provo a trasmettere l’ho preso ‘rubando’ con gli occhi ai giocatori più esperti. Chiaro, non tutti ci riescono ed è importante, secondo me, un po’ di capacità innata per farlo e poi studiare tantissimo. Il ruolo di allenatore-giocatore quindi può essere molto utile per i ragazzi. Da giocatore puoi capire più facilmente le problematiche tecniche ma anche psicologiche di un ragazzo. Viceversa, adesso che alleno a Prato da 5 anni ho sicuramente più esperienza come allenatore, ma non giocando più – pur avendo mantenuto ‘l’occhio’ da rugbista – mi accorgo che certe cose quando sei un giocatore riesci a interpretarle meglio e di conseguenza anche a trasferirle meglio”. Negli ultimi due anni della sua carriera da giocatore Alberto Chiesa ha lavorato anche al fianco di Massimo Brunello, attuale capo allenatore delle Zebre, nella prima squadra di Calvisano, contribuendo quindi alla crescita di atleti che hanno scritto pagine importanti del rugby italiano: “Ai tempi ero il capitano e il più anziano, quindi capitava di avere da Brunello l’opportunità e il piacere di lavorare con i trequarti. Pensiamo a Trulla, estremo come me ma anche ala, quindi magari giocavamo insieme la domenica. Poi c’erano Mori, Bruno, Minozzi, Danilo Fischetti tra gli avanti. Tutti ragazzi già promettenti ai tempi, è stato davvero bello poterli aiutare soprattutto dal punto di vista umano: vedevo grande rispetto da parte loro e io avevo tantissima voglia di trasmettere la mia passione e le mie competenze. Ancora oggi ho un bel rapporto con tutti loro. Tutta questa esperienza l’ho poi portata con me anche a Prato”. Oggi, infatti, Alberto Chiesa è tra i protagonisti di un progetto in grande crescita come quello dei Cavalieri Union Prato, del quale è direttore tecnico: “Finita l’era del professionismo, a Prato è stata presa la decisione di ripartire dai giovani. Quando sono arrivato nel 2020 avevo già trovato un settore giovanile di grandissima qualità: attualmente fino all’Under 14 ci sono due società – il Gispi Rugby e il Sesto Fiorentino Rugby – che poi convogliano nei Cavalieri Prato dall’Under 16 in poi, passando per l’Under 18 fino alla prima squadra. Ad oggi abbiamo due squadre Under 16, due Under 18 (una in Elite e una in interregionale per entrambe le formazioni) e due Seniores, una in Serie A girone 1 e una in Serie B. Al momento abbiamo 72 ragazzi in Under 16, 64 in Under 18 e 80 giocatori seniores tra le due formazioni”. “Ogni anno ci poniamo un obiettivo importante: integrare le rose delle due squadre seniores con almeno 12 giocatori del nostro settore giovanile. Questo significa lavorare per formare i ragazzi qualitativamente e umanamente: sono seguiti da preparatori, nutrizionisti, psicologi, tutte figure che ritengo fondamentali. Questo poi ci consente di far succedere una cosa molto bella: che tutti i ragazzi, ovunque poi vadano, alla fine tornano, da giocatori, da allenatori, da dirigenti, ma il legame con Prato non si spezza mai. Per fare questo bisogna formare soprattutto le persone e rimanere tutti uniti” conclude Chiesa.
dalla base | 14/02/2025
‘L’è riva’, la canzone del Monti Rovigo che si tramanda di generazione in generazione
Al centro, stretti in un abbraccio, i bambini dell’under 6 della Monti Rovigo. Tutt’intorno, i ragazzi e le ragazze dell’under 12 che insegnano ai più piccoli uno dei canti della tradizione rossoblù: “L’è rivà”. Questo video, girato nello spogliatoio della squadra rodigina poco prima di un raggruppamento casalingo, ha fatto il giro del web. Testimonia uno dei momenti più belli dell’ambiente rugbistico ovvero il passaggio, tra diverse generazioni, delle tradizioni del club. “E’ una canzone che appartiene agli albori, la Monti è nata nel 1972 – spiega il presidente della Monti Rovigo Damiano Libralon – Fu introdotta dalla prima squadra, e veniva cantata anche dai ragazzi delle giovanili che ancora oggi la intonano. Originariamente, era la canzone della vittoria. Oggi, nelle giovanili, è più un modo per celebrare l'impegno e lo spirito di gruppo e fratellanza”. Questo rito accompagna da molti anni l’under 12, 14 e 16 e viene insegnato anche alle categorie dei più piccolini. “Si insegna per tradizione orale. La canzone nel tempo è stata trasmessa da allenatori che hanno dedicato tanti anni alla Monti, come Roberto Rizzati – spiega Libralon – allenatore che per 40 anni ha seguito ragazzi e ragazze. Ora, è un naturale passaggio tra le diverse squadre”. Attualmente la Monti Rovigo, dalle prime mete all’under 16, conta 180 tesserati un settore giovanile che è sempre stato un punto di riferimento a livello nazionale. Nel testo della canzone non può mancare un riferimento al Petrarca, storico rivale in campo di Rovigo. “Adesso adattiamo il testo all’avversario che abbiamo di fronte – conclude Libralon – ma è inutile nascondere che il derby è il derby, a qualsiasi età!”. Il testo della canzone: Capitano/i: L'E' RIVAAAA' Coro: BOOM! Capitano/i: L'E' RIVAAA' Coro: BOOM! Tutti insieme: L'è rivà el forte squadron Da Rovigo è lo squadron che tremare il mondo fa per i nostri hip hip urrà per i nostri hip hip urrà E da Rovigo siam e la vittoria avrem per la gloria dei Bersaglier La mischia l'è potente, i trequarti son veloci, l'arier placcherà hip hip urrà Caro Petrarca cosa vieni a far? questa è la nostra abilità L'è Rivààààà! Boom!
dalla base | 12/02/2025
Linee di meta: Giacomo Milano, Malik Faissal, Andrea Cinti, Marco Quagliotti
“Sono cresciuto nella Nuova Rugby Roma, dove ho incontrato Andrea Cinti, una persona fondamentale per la mia cresciuta rugbistica e umana. Mi ha allenato dai 13 ai 17 anni, ma soprattutto mi ha aiutato durante il periodo del Covid, quando riuscì a far risbocciare la passione per il rugby che non riuscivo più a far venire fuori” – Giacomo Milano Marco Quagliotti, detto “Quaglio”, è stato molto più di un allenatore: è stato un vero esempio. Mi ha aiutato a crescere come rugbista e mi ha trasmesso l'importanza del rispetto verso gli avversari. Sempre al mio fianco, ha supportato ogni mia decisione, accompagnandomi dal primo allenamento con la selezione regionale fino al primo raduno con la Nazionale. Il suo amore per il rugby è stato una grande fonte di ispirazione, spingendomi costantemente a dare il massimo” – Malik Faissal Far crescere i giovani non significa solo insegnare loro a giocare a rugby: vuol dire guidarli, aiutarli, mostrare loro la strada e la direzione giusta per farli diventare uomini e donne. E quello che è accaduto a Giacomo Milano e Malik Faissal, due grandi talenti aiutati da due grandi allenatori a superare ogni difficoltà. È successo alla Nuova Rugby Roma, realtà nata nel 2005 e dedicata (per ora) esclusivamente al settore giovanile, con Andrea Cinti, che ha guidato Giacomo Milano – terza linea del Noceto – nel momento più delicato del suo percorso di crescita: “Ho dei ricordi bellissimi. Ha cominciato con noi da bambino, già si distingueva soprattutto a livello fisico, era impossibile non notarlo (ride, ndr). Lo abbiamo visto e seguito fin da piccolo, poi l’ho allenato in under 14, under 16 e poi 17, quando furono inserite le categorie dispari” racconta Cinti, 60 anni, che ha giocato da sempre a Roma, allena da 20 anni e adesso si occupa della formazione dei ragazzi che diventeranno poi gli educatori e allenatori della Nuova Rugby Roma. Come raccontato da Giacomo Milano, Cinti è stato fondamentale durante il periodo del Covid, quando ha rischiato di lasciare: “Credo che il senso e l’obiettivo di tutto il nostro progetto sia proprio questo. Al di là del fatto che sia arrivato ad altissimi livelli, e ne sono ovviamente orgoglioso, dare questa motivazione ai ragazzi e aiutare chi in un determinato momento si sente in difficoltà è ciò che mi rende più felice, e il fatto che poi tutto questo abbia contribuito a far arrivare Giacomo così in alto è ovviamente un motivo d’orgoglio. Alla fine noi dobbiamo fare questo: contribuire alla crescita umana dei ragazzi, perché poi più saliranno di livello più troveranno allenatori bravissimi come quelli con cui Milano lavora adesso, ma è importante che il rugby di base formi prima di tutto la persona, in modo che poi il giocatore possa svilupparsi di conseguenza”. “Sono da sempre alla Nuova Rugby Roma, un progetto nato nel 2005 anche grazie al presidente – e mio caro amico - Roberto Barilari, la vera anima del club” spiega Cinti: “La filosofia nel nostro club è sempre quella di ‘lasciare spazio’ ai ragazzi, insegnando loro i fondamentali dell’educazione e del rispetto ma lasciandoli liberi di divertirsi. Cerchiamo di non focalizzarci troppo sui risultati, mettendo al centro l’appartenenza, il gruppo, l’unità, tutti valori che rischiano di perdersi. Non bisogna mai perdere di vista questo principale obiettivo, soprattutto lavorando con persone che vivono comunque un’età particolare come quella della crescita e dell’adolescenza. Dopo tanti anni di lavoro con i giovani stiamo pensando di costruire anche una squadra seniores, che nasca proprio dai ragazzi che in questi anni sono cresciuti nella Nuova Rugby Roma”. Lo stesso ha fatto Marco Quagliotti, allenatore dell’under 14 del Rugby Parma e responsabile del minirugby, che ha allenato l’ala degli Azzurrini e del Rugby Parma 1931 Malik Faissal: “Malik ha iniziato da piccolo, aveva 6 anni, e l’ho incontrato più avanti quando ha cominciato in under 12, proprio quando ho iniziato ad allenare. Alla fine siamo cresciuti insieme: io da allenatore, lui da giocatore. Malik era ed è un ragazzo fantastico anche fuori dal campo, non si arrabbia mai e – anzi – abbiamo dovuto spingerlo a tirare fuori un po’ di sana cattiveria agonistica. All’inizio tendeva a buttarsi giù, se faceva un errore andava nel pallone: abbiamo lavorato tanto su questo proprio per farlo crescere, prima di tutto a livello umano. Come caratteristiche era già molto simile ad ora, aveva delle doti atletiche e fisiche notevoli. Quello che gli mancava era un po’ la tenuta mentale, se sbagliava qualcosa non riusciva a reagire, adesso invece è diventato molto più forte da questo punto di vista”. Quello di Faissal è “solo” un esempio di quello che Quagliotti e Cinti hanno sempre cercato di fare: “Credo sia fondamentale non limitare i ragazzi. Bisogna evitare di infondere loro la paura di sbagliare, magari riempiendoli di troppe nozioni tattiche o schemi prefissati quando dovrebbero essere liberi di provare a fare una giocata. Se un ragazzo non viene lasciato libero di provare qualcosa quando è giovane, quando crescerà non potrà farla. Dobbiamo crescere prima di tutto dei ragazzi, poi dei giocatori: abbiamo sempre cercato di far capire loro lo spirito del nostro sport, soprattutto dal punto di vista del rispetto degli avversari, delle regole, degli allenatori. Dal mio punto di vista è la base da cui parte tutto il resto: prima il rispetto, poi la tecnica”. Il percorso di Faissal si inserisce nella particolare storia recente del Rugby Parma, come racconta Quagliotti: “Dopo il fallimento del 2011 la società ha deciso di ripartire dal settore giovanile, e da lì sono stati anni crescita per i giovani, proprio quelli in cui si sono avvicinati al rugby ragazzi come Malik Faissal e Pietro Melegari, anche lui dell’under 20 italiana. Dopo tanto lavoro siamo tornati ad ottenere risultati importanti: la seniores ha ricominciato dalla Serie C2 con una squadra formata da ragazzi provenienti dal settore giovanile, e di promozione in promozione è arrivata in Serie A2 oltre ad avere una squadra cadetta in Serie C, più due under 18, due under 14 e tutte le categorie del minirugby. Per quanto riguarda i giovani, al momento abbiamo circa 230 tesserati solo per quanto riguarda il settore giovanile fino all’under 18”.
dalla base | 07/02/2025
Silvano Babetto, segni particolari: una vita dedicata alla palla ovale.
“Babe”, questo il soprannome con cui è conosciuto sul territorio, ha recentemente festeggiato il 41esimo anno di attività come allenatore del minirugby con una cena a sorpresa fatta dai suoi ragazzi della sua prima squadra, classe 70-71. Un esempio di dedizione e passione per questo sport e una storia che merita di essere raccontata. Inizia sulla panchina del Valsugana, ad appena 22 anni dopo aver lasciato il rugby giocato, poi dopo otto anni il passaggio al Petrarca, dove si divide ancora tra l’under 10 e l’under 12. “Ho iniziato a lavorare molto presto come cuoco alla scuola materna e questo mi ha portato sin da giovanissimo a stare a contatto con i più piccoli. Allenare i bambini e le bambine per me è stato naturale, un hobby che si è trasformato con il passare del tempo in una vera a propria passione. Il segreto è divertirsi, in campo rido ancora tantissimo e questo mi spinge a continuare”. Babetto ha cresciuto e allenato intere generazioni di rugbisti, alcuni dei quali hanno calcato i più importanti palcoscenici internazionali. “Ora alleno i figli di alcuni di alcuni di questi ragazzi anche se sembra ieri quando allenavo i padri – spiega Babe – è una cosa che mi inorgoglisce ma al contempo mi ricorda che il tempo sta passando velocemente”. Gli anni passano ma non cambiano i valori che spingono Silvano Babetto “Il mio obiettivo primario, oltre naturalmente ad insegnare il gioco e il rispetto per l’avversario, è quello di creare il gruppo, un insieme di amici che possano crescere nello sport ma anche una volta che avranno finito di giocare”. E proprio il campo da rugby ha permesso di cementare rapporti importanti “Sono orgoglioso dell’amicizia che mi lega ad Andrea Rinaldo, per lungo tempo un mio “accompagnatore”. Anche con Graziella Calore, storica segretaria del Petrarca ci vediamo e sentiamo spesso. Sono legatissimo alla famiglia Ghiraldini con cui ogni Natale passiamo dei piacevolissimi momenti insieme”. Babetto ha trasmesso la propria passione ai figli “Francesco allena l’under 10 mentre Carlo guida l’under 18 del Petrarca. Per mio nipote Pietro, che ha due anni e mezzo, è ancora presto per il rugby in campo ma ha già iniziato con le attività propedeutiche e il gioco legato alla palla ovale”. E la moglie? “Abbiamo raggiunto un equilibrio nel corso degli anni – sorride Silvano Babetto – sa che farei fatica a rinunciare al rugby e la ringrazio per avermi sempre supportato”. Sono tanti gli aneddoti e le storie da raccontare in quarantun anni di carriera “La mente mi riporta spesso al passato, ad episodi di campo ma anche a quelli avvenuti fuori. Le trasferte in bus con la squadra, le amicizie coltivate nel corso del tempo, il rapporto e il confronto con i genitori”. Di smettere Silvano non ci pensa minimamente ma ha le idee chiare sul futuro e l’insegnamento del rugby “Ovviamente spazio ai giovani, sono tanti i ragazzi che hanno iniziato il percorso per diventare allenatore e che scendono in campo settimanalmente, questo mi rende felice. Io sono a disposizione a dare una mano e a fornire i consigli necessari”. Sempre con la palla ovale nel cuore.
dalla base | 04/02/2025
Linee di meta: Nelson Casartelli, Edoardo Todaro e Paolo Ragusi
La linea di meta è dritta, quella della vita no: come, grazie a qualcuno, la traiettoria personale di atlete e atleti è cambiata. “Ho cominciato a giocare a rugby al Cus Milano, per poi trasferirmi poco dopo all’AS Rugby Milano dove ho incontrato Paolo Ragusi, la persona più importante nel mio percorso di formazione rugbistica. Con lui sono stato 6 anni: mi ha allenato prima al Rugby Milano fin dall’under 8, l’ho ritrovato di nuovo quando sono tornato al Cus Milano dove sono stato fino all’Under 14. È stato fondamentale per me” – Edoardo Todaro “Sono cresciuto rugbisticamente tra Cus Milano e AS Rugby Milano, le prime due squadre in cui ho giocato. In queste due squadre ho trovato un punto di riferimento importantissimo che è stato Paolo Ragusi, il nostro allenatore” – Nelson Casartelli Se due dei ragazzi più promettenti dell’Italia under 20 versione 2025 fanno lo stesso nome, non può essere un caso, e Paolo Ragusi effettivamente al caso non lascia nulla. Ragusi è stato uno storico mediano di apertura dell’AS Rugby Milano (“Ho iniziato in under 11 e ho smesso a 39 anni, ho dedicato tutta la mia carriera al club. Ho avuto la fortuna di giocare anche con Luca Morisi e con mio nipote Simone Ragusi”), una società che ancora oggi vanta 3 squadre seniores, di cui una in Serie A, e tutte le giovanili dai corsi di motricità rugby tots (2-3) anni fino all’under 18. Ragusi ha cominciato proprio All’ASR la sua carriera da allenatore, prima di spostarsi al Cus Milano, dove adesso è capo allenatore dell’Under 18 e allenatore dei trequarti delle due squadre seniores. Al momento, spiega Ragusi: “Il Cus Milano ha tutta filiera delle giovanili, dall’under 6 all’under 18, di cui sono allenatore. L’under 16 gioca nel campionato elite nord-ovest, mentre l’under 18 disputa il campionato elite nord. Ovviamente, quando si parla di Cus Milano non si può non citare il nostro fiore all’occhiello, la squadra femminile, che credo vanti uno dei numeri più alti di tesserati in Italia: abbiamo due squadre seniores, di cui una sempre presente in Serie A Elite, una squadra under 18 e una under 16”. Proprio tra ultimi anni di lavoro all’ASR e i primi al Cus Milano è arrivato l’incontro con Edoardo Todaro e Nelson Casartelli, rispettivamente centro e terza linea dell’Italia under 20: “Con Edoardo Todaro siamo stati insieme dall’under 8 fino all’under 14, quando ha deciso di partire per l’Inghilterra. È stata una scoperta molto piacevole, è figlio di un ex giocatore dell’Amatori Catania, conosceva già il nostro sport, già ai tempi aveva un atletismo sopra la media. Stessa cosa per Nelson Casartelli, ha avuto subito un impatto notevole. Con loro abbiamo vissuto tantissime avventure perché ho sempre pensato che vivere più esperienze possibili sia il modo migliore per crescere. Abbiamo giocato tantissimi tornei, nazionali e internazionali: siamo andati a Rovigo, Padova, Treviso dove abbiamo vinto il Trofeo Topolino, e poi sia con Edoardo sia con Nelson siamo andati a giocare delle amichevoli estive in Irlanda. Due giorni a Dublino, due a Connacht, due Limerick, affrontando le squadre dei campus delle franchigie irlandesi. Pensate che l’arbitro di una di queste partite era l’irlandese John Lacey, che aveva diretto la finale per il 3° posto della Rugby World Cup 2015”. Oggi sono due Azzurrini, Ragusi però ama ricordare i Casartelli e Todaro bambini: “Due forze della natura. Nelson aveva già questa fisicità prorompente che poi ha sviluppato fino ad oggi, la cosa sulla quale abbiamo dovuto lavorare – sia con lui che con Edoardo – è stata fare in modo che quella loro ‘superiorità’ non diventasse limitante per la loro crescita. Chiaramente due giocatori così potevano risolvere le partite da soli, ed effettivamente lo facevano: abbiamo lavorato tanto sul farli partecipare di più all’azione con i compagni, in modo che diventassero dei veri ‘uomini-squadra’. E in questo modo sono arrivati così in alto. Ad esempio, lavoravamo molto sulle abilità individuali, sul passaggio, oppure li facevamo partecipare solo alla seconda parte dell’azione, in modo che si integrassero meglio al gioco di squadra. Ogni volta che parlo di loro sono felice, sono orgoglioso di averli allenati e che siano arrivati fino al Sei Nazioni under 20. Ovviamente li guarderò sempre in televisione, e sono sicuro che sia all’ASR sia al Cus saranno tutti attaccati allo schermo per seguirli”. Il riferimento ai tornei, alle trasferte e alle avventure all’estero non è un caso. Anzi, come spiega Ragusi, l’esperienza è il motore principale della crescita dei ragazzi, ed è un lavoro che ha sempre amato fare sia all’ASR Milano che al Cus Milano: “Credo far uscire i ragazzi dalla propria zona di comfort e far vivere loro delle esperienze diverse sia la cosa più importante. Far vivere loro la trasferta, dormire fuori insieme, stare lontani dai genitori: tutte cose che formano prima di tutto la persona, che deve essere sempre il nostro obiettivo principale. A livello di rugby di base poi credo che sia importantissimo lavorare sulla tecnica individuale, ovviamente considerando l’età dei bambini e dei ragazzi e inserendo quindi dei giochi, delle attività particolari che permettano loro di imparare divertendosi e sconfiggere la paura del contatto o di andare a terra”.
dalla base | 30/01/2025
Linee di meta: Niccolò Cannone e Paolo Ghelardi
La linea di meta è dritta, quella della vita no: come, grazie a qualcuno, la traiettoria personale di atlete e atleti è cambiata. “L’allenatore che sicuramente mi ha dato qualcosa di unico, soprattutto a livello emotivo, è stato Paolo Ghelardi detto ‘Il Ciafo’, leggenda del calcio storico e del rugby fiorentino. Ho avuto la fortuna di passare un anno e mezzo con lui. Tutti le volte che ci penso mi vengono i brividi per il modo in cui affrontava le partite, per come viveva i derby toscani. Lui aveva fatto tutta la carriera a Firenze per poi unirsi al Florentia Rugby, dove giocavo io. Prima dei derby piangeva, sentiva la partita come se dovesse giocarla anche lui insieme a noi. Non ho mai visto una persona vivere così tanto emotivamente una partita, e questa cosa ci caricava tantissimo, e ancora oggi credo che mi accomuni a lui la passione, l’emotività e la cattiveria agonistica che mettiamo in campo, oltre ovviamente all’amore smisurato che abbiamo per Firenze” – Niccolò Cannone Il rugby è amore, passione, emotività. Niccolò Cannone è la furia agonistica di fronte ai miti del rugby moderno, affrontati con rispetto ma con la consapevolezza di poter stare a quel livello. Niccolò Cannone però è anche l’emozione prima del match, le lacrime durante l’inno, l’abbraccio con i compagni, l’urlo di gioia dopo una vittoria. Non sono cose che spuntano all’improvviso, sono cose che vengono da dentro, e che vengono tirate fuori da allenatori capaci di far esprimere i bambini e i ragazzi nel modo migliore. Così ha fatto Paolo Ghelardi, detto “Il Ciafo” – 67 anni, allenatore fino al 2017 e insegnante di educazione fisica fino a quest’anno (“ora sono andato in pensione, largo ai giovani”) – che ha allenato Niccolò Cannone prima in Under 16 e poi nella Prima Squadra del Florentia Rugby, una società legata soprattutto al quartiere 4 di Firenze e nata nel 2013 dalla fusione tra il Bombo Rugby – che operava nel settore giovanile dal 1998 – e il Firenze Rugby, nato nel 2003 e storicamente legato all’attività seniores. Un club che ha sempre schierato almeno una squadra in ogni categoria, dall’Under 6 fino alla Serie C e alla Serie B, oltre alle squadre old composte da ex giocatori, genitori dei ragazzi e tanti appassionati di rugby, e che nel 2023 si è unito al Firenze Rugby 1931 formando l’Unione Rugby Firenze. Dal Florentia, oltre a Niccolò, è uscito fuori anche il fratello più piccolo, Lorenzo. Proprio Ghelardi ha raccontato la bellissima esperienza vissuta con Niccolò Cannone, oggi seconda linea del Benetton e della Nazionale, e in generale nel rugby giovanile con il Florentia, dove ha giocato e dove – seguendo un percorso simile – ha giocato anche il fratello Lorenzo: “Niccolò era il più grande e grosso di tutti già a quei tempi, ma è un ragazzo d’oro. Lui e il fratello sono di un’umiltà incredibile. Quando tornano a Firenze spesso vengono a vedere le partite, stanno insieme a noi, è una cosa molto bella. Con Niccolò ho lavorato un paio d’anni in Under 16, ancora si doveva formare del tutto rugbisticamente, ma in campo era sempre attivo, giocava sempre con il sorriso e si vedeva tutto il suo amore per il rugby e la voglia di imparare” spiega Ghelardi, che poi racconta un aneddoto curioso: “Aveva tanta fame, non solo in campo. Ricordo che la mamma gli portava delle schiacciatone grandissime da mangiare (ride, ndr). E poi c’è un’altra cosa da sottolineare, che per me è fondamentale avendo lavorato tanto con i ragazzi e avendo lavorato anche come insegnante di educazione fisica: l’educazione e il rispetto, qualità che Niccolò ha sempre avuto e che questo sport ci insegna”. E sulla sua filosofia di insegnamento, “Il Ciafo” spiega: “Un buon allenatore deve riuscire a intuire le capacità tecniche e fisiche del ragazzo per farlo esprimere e soprattutto divertire, quando è giovane. Bisogna restare allenatori e non diventare ‘addestratori’ facendo diventare i ragazzi tutti uguali, ognuno ha caratteristiche diverse e il nostro ruolo – il più difficile – è tirarle fuori lasciando che restino sempre loro stessi. Niccolò è ‘figlio’ di questa filosofia”. Proprio su questo aspetto, Ghelardi approfondisce il modo in cui ha sempre lavorato con i giovani, e con lui il Florentia: “Va fatto prima di tutto un lavoro di crescita umana. L’obiettivo che mi sono sempre posto è lasciar ‘giocare’ i ragazzi, soprattutto i più piccoli. E poi credo che fino ai 12-14 anni ai ragazzi vada insegnata soprattutto la tecnica e vadano fatti divertire, senza lasciarsi troppo condizionare dalla tattica, dai risultati immediati e dalla troppa voglia di vincere le partite a tutti i costi. Poi è chiaro, il rugby è uno sport tatticamente complicato ed è giusto che a una certa età si introduca anche quella parte, ma i ragazzi devono prima di tutto divertirsi e devono cambiare tanti ruoli. Anche perché a quell’età i bambini e i ragazzi sono delle spugne: imparano tutto. Ad esempio, anche se non l’ho allenato in prima persona, ricordo quando il fratello di Niccolò, Lorenzo Cannone, da ragazzino al Florentia giocava apertura in under 12, poi è diventato centro e poi crescendo si è trasformato in terza linea, ma è un percorso che va fatto con i tempi giusti, senza riempire la testa ai ragazzi”. Tornando a Niccolò Cannone, “Il Ciafo” racconta un altro particolare: “C’è una cosa che di lui mi ha sempre colpito - prosegue Ghelardi - ed è la sua capacità di fare sempre uno scalino in più, di crescere anno dopo anno e di migliorarsi continuamente. L’ho fatto esordire in Serie B a 17 anni, poi è andato in Accademia e ha cominciato a giocare sempre di più, così ha fatto al Petrarca, al Benetton e fino alla Nazionale. Questo fa capire la sua grande attitudine e la sua capacità di imparare”. Pensando all’emotività con cui Niccolò Cannone vive le partite, dimostrata dalle lacrime che spesso solcano il suo viso durante l’inno Nazionale, non si può non tornare ai tempi dei derby toscani con coach Ghelardi in panchina: “Anch’io vivevo le partite così, ero molto emotivo e spero di averglielo trasmesso perché è una cosa bella, fa trasparire tutto l’amore che abbiamo per il rugby”. E a proposito di emozione, ancora oggi quando gioca la Nazionale “Il Ciafo” prova delle sensazioni molto particolari: “Prima delle partite ci sentiamo sempre, e non è una cosa scontata perché giustamente potrebbe sentirsi disturbato, e invece mi ringrazia sempre e io gli faccio sempre un ‘in bocca al lupo’ prima di giocare. Ciò dimostra ancora una volta la sua umiltà e la sua riconoscenza verso gli altri. Credo sia arrivato così in alto anche per il suo carattere” ha concluso Ghelardi.
dalla base | 24/01/2025
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